Foto storiche
Giornalisti e fotografi di guerra a Licata nell'estate del 1943
Il 10 luglio 1943 o appena dopo lo sbarco dei fanti di marina statunitensi sulle spiagge di Licata, arrivarono a Licata dal cielo o via mare famosi fotografie e giornalisti-scrittori con l’incarico di fotografare o di descrivere i successi militari delle truppe alleati in Sicilia.
Tra questi Robert Capa, ritenuto il maggiore fotografo di guerra del 900, il cui ricchissimo archivio è stato trovato recentemente in Messico custodito in tre valigie. Capa, nato a Budapest il 22 ottobre 1913, soggiornò a Licata per qualche tempo alle dipendenze della rivista “Life” di New York, finché con l’82a divisione aviotrasportata, comandata dal gen. Matthew B. Ridway, lasciata la Sicilia, non si trasferì nell’Italia centrale. Nel 1954 si trovava in Indocina per documentare con la sua macchina fotografica le azioni militari dei francesi e il 25 maggio di quell’anno, seguendo un gruppo di soldati lungo il fiume Rosso, finì su una mina che gli tolse la vita.
Tra i giornalisti e scrittori, citiamo, invece, Ernest Taylor Pyle, meglio conosciuto come Ernie Pyle che da Licata per circa due mesi spedì cronache di guerra ai giornali americani. Era nato a Dana, nell’Indiana, il 3 agosto 1900. Finita la guerra in Europa, seguì le truppe americane nel Pacifico e il 18 aprile 1945 ad ovest di Okinava, a Ie Shima venne colpito dai giapponesi. Recentemente è stata resa pubblica una foto che lo ritrae riverso per terra supino, vestito da soldato, ancora con l’elmetto e con un rivo di sangue che scende dalla sua bocca. Pyle fu autore di numerosi saggi sulle campagne militari americane. Il più importante è appunto The War.
John Richard Hersey, giornalista del Time, del Life e del The Newyorker, sopravvisse alla guerra. Era nato il 17 giugno 1914 a Thientsin (Cina) da genitori missionari ed è morto a Key West (Florida) il 24 marzo 1993. Seguì le truppe americane in Sicilia al comando di Patton e dopo lo sbarco del 10 luglio 1943 arrivò a Licata e seguì da vicino il maggiore Frank Toscani descrivendo il suo lavoro per la rivista Life, articoli che poi divennero materiale prezioso per un romanzo storico “A bell for Adano”, “Una campana per Adano”, pubblicata a New York nel 1944, guadagnandosi il premio Pulitzer nel 1945. Dopo lo scoppio della bomba atomica ad Hiroshima, avvenuto il 6 agosto del 1944, fu uno dei primi giornalisti occidentali a mettere piede nella città disintegrata.
Nel 1988 ha concesso a La Vedetta di poter pubblicare in lingua italiana “Una campana per Adano”, che già Bompiani prima e Mondatori dopo avevano pubblicato. Questo best seller che racconta le imprese di un ufficiale americano buono in un paese della Sicilia, Licata (Adano) si continua a pubblicare negli Usa.
Richard William Tregaskis, il cui cognome denuncia le sue origini elleniche, passò da Licata subito dopo lo sbarco ed ebbe modo di conoscere lo stato di povertà e di abbandono in cui si trovava Licata nel luglio del 1943, notizie che trasferì in una triste pagina dedicata alla nostra città nel suo volume “Invasion Diary” (Diario dell’invasione” in Sicilia (10 luglio 1943), pubblicato nel 1944. Tregaskis, corrispondente di guerra per l’International News Service, era nato a Elizabeth (New Jersey) il 28 novembre 1916 e morì alle Hawai, nella sua casa, a soli 56 anni, il 15 agosto 1973. Annovera una ricca bibliografia di saggi e testi pubblicati e molti diari di guerra
Il comune di Licata
Ha una superficie di 178,91 kmq e confina a sud col Canale di Sicilia, ad ovest con Palma di Montechiaro, a nord con il territorio di Ravanusa, Campobello di Licata e Naro, a est con Butera. Prevalente è l'ambiente collinare; non mancano però vaste aree pianeggianti, di cui la più cospicua per estensione e per interesse economico è la "Piana Romano", estesa per oltre 7 mila ettari ha, che funge da immediato entroterra dell'abitato. Caratterizzano la morfologia del territorio alcuni rilievi litoranei che conferiscono alla costa particolari pregi paesistici e cingono a sud la "Piana". Tre tipi di colture tradizionali caratterizzano l'agricoltura licatese: seminativo asciutto (l'intera piana e le colline che la circondano), il frutteto (a guscio duro, precisamente mandorlo), l'incolto produttivo destinato a pascolo che occupa le zone più impervie. Non mancano coltivazioni di viti, ulivi, carrubi, agrumi, alberi da frutta (peschi, albicocchi, susini, meli e peri). Da alcuni anni a questa parte si è enormemente sviluppata anche la sericoltura che produce ortaggi di ogni tipo, pomodorini a grappolo e squisitissimi meloni "cantalupo", ovunque esportati. Il clima è quello tipico della fascia costiera meridionale della Sicilia, contraddistinto da scarse precipitazioni annuali, concentrate nei mesi autunnali e invernali, rare in primavera, quasi nulle nel periodo estivo. L'inverno è mite e di rado si giunge a temperature inferiori a +5°. L'estate porta molta calura ed afa e spesso molta umidità, specie nelle ore serali. Tutto il territorio è esposto ai venti del sud (scirocco e libeccio) e di ovest (ponente). La rete idrografica che incide il territorio licatese si aticola nell'ultimo tronco del fiume Salso che attraversa la Piana e lo stesso abitato, sboccando con andamento tortuoso ad est del porto. Caratteristica di questo fiume è la presenza nelle sue acque di una certa dose di cloruro di sodio che varia al variare della portata, sicché è massima d'estate, minima di inverno. Assente è la grande industria. Attualmente sono attive piccole aziende a carattere casalingo: laterizi, scope di saggina, frantoi per l'olio di oliva, conservazione del pesce azzurro, cantieristica. Non sono più presenti i rinomati pastifici. Nell'artigianato occupano un posto di riguardo la lavorazione del legno, del ferro battuto, il ricamo, la produzione delle reti da pesca, la costruzione dei carretti, la confezione di dolciumi e la produzione di torroni. Secondo i dati Istat, la popolazione di Licata è passata dal 1901 al 1981 da 22.993 a 41.451 abitanti, registrando un calo considerevole nel 2001 con circa 38.000 abitanti, dato provvisorio, che ha riportato la città indietro di cinquanta anni, se si tiene conto che nel 1951 Licata contava 37.258 abitanti. L'economia licatese trae buone risorse, oltre che dall'agricoltura, anche dalla pesca che c con la sua numerosa e moderna flotta peschereccia occupa circa 2.000 persone. Le qualità del pesce comunemente pescato sono: triglie, sogliole, merluzzi, seppie, varie specie di gamberi, platesse, spigole, saraghi, polipi e moltissimo pesce azzurro (sgombri, sardine, acciughe). Giornalmente da moderno mercato ittico più di 130 quintali di pescato, soprattutto pregiato, vengono smistati per i vari mercato del centro e del nord Italia. Recenti sono alcuni impianti di acquicoltura per l'allevamento e la produzione di branzini ed orate per la fornitura delle maggiori catene alimentari. Assai carente è, invece, l'economia portuale, nonostante le esorbitanti risorse che la Casmez abbia investito per il potenziamento e la ristrutturazione del porto commerciale. E' previsto nella rada della Giummarella la costruzione di un modernissimo porto turistico. Nel settore del commercio prevalgono le botteghe alimentari, le rivendite di mobili e di abbigliamento, le gioiellerie, le mercerie e le profumerie. Numerosissimi sono i bar, le pizzerie e i ristoranti. Buona la produzione di gelati sfusi. Il settore turistico non riesce a decollare e pur disponendo Licata di un lungo e articolato litorale sabbioso, le iniziative di incremento son o pressoché nulle, se si fa eccezione per qualche impianto balneare estivo. Esistono quattro alberghi, di cui solo tre funzionanti ("Al Faro" e "Roma", e "Piccadilly"), alcune pensioni e diversi residence presso le principali zone balneari. Le emergenze architettoniche e il patrimonio artistico rivestono un grande interesse anche per il loro pregio. Esiste un moderno museo archeologico, allocato al piano terra di un seicentesco partenio cistercense, il secondo per ricchezza di reperti della provincia di Agrigento, mentre la biblioteca civica custodisce ricche raccolte di libri rari (manoscritti ed incunaboli) e di pregio (cinquecentine). Discreti sono i collegamenti via terra per Agrigento-Trapani, per Agrigento-Palermo, per Caltanissetta-Palermo e per Gela-Catania Aeroporto "Fontanarossa"-Catania-Siracusa. Nel periodo estivo, bisettimanalmente, Licata è collegata con l'isola di Malta con catamarano. Assai arretrati e molto carenti sono i servizi ferroviari. Palermo e Catania sono collegati con servizi di autopulman. Il settore del credito è riccamente rappresentato da ben otto sportelli bancari. L'istituto creditizio locale è la "Banca Popolare Sant'Angelo". Completa è anche l'offerta formativa della scuola pubblica che garantisce tutti gli indirizzi delle scuole superiori. Solo il liceo pedagogico è privato, ma legalmente riconosciuto. Dall'anno accademico 2002-2003 funziona a Licata un master universitario in agraria. I santi protettori di Licata sono: Sant'Angelo martire carmelitano, dal 1400, e San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, cardinale teatino, da poco più di dieci anni.
La storia di Licata
Secondo la più recente storiografia, la città di Licata sarebbe stata fondata nel 282 a.C. da Finzia, tiranno di Agrigento, che, distrutta la vicina Gela, vi trasferì gli abitanti e persino le iscrizioni pubbliche. Finziade sarebbe stato il nome della nuova città che gli antichi descrivono opulenta per i suoi fori e splendente per i suoi templi. Ipotesi questa da sempre contestata dagli studiosi licatesi che, invece, ne attribuiscono le origini alla ricca e potente colonia greca Gela, fondata da Antifemo di Rodi e da Entimo di Creta nel 690 a.C. Questa discendenza fu messa in dubbio nel 1619 da Filippo Cluverio che tali origini assegnò alla città di Terranova, fatta costruire da Federico II di Svevia.
Ma, al di là di questa polemica, le origini di Licata sono assai più remote. Le scoperte, infatti, di materiali litici e fittili in varie località di Licata consentono di documentare un quadro cronologico complessivo che va dal neolitico di tipo stentinelliano (5° millennio a.C.) all'eneolitico di tipo San Cono e alla prima metà del bronzo di tipo castellucciano (2° millennio a.C.). Non trascurabili sono, inoltre, i segni lasciati dalle culture del paleolitico superiore.
Prima che arrivassero i Greci, il sito di Licata fu frequentato dai Fenici che vi mercanteggiarono tra il XII e l'VIII secolo a.C. Verso la fine del VII sec. il colle di Licata, detto nelle antiche carte "Gelae Mons", entrò in possesso dei Geloi che vi edificarono una stazione fortificata a guardia della foce del fiume Salso. Nella prima metà del VI sec. a.C. Falaride, tiranno di Agrigento, per arginare l'espansione di Gela verso occidente, si assicurò parte del territorio di Licata con la costruzione di un frourion, un avamposto fortificato. Nel IV sec. a.C. la città cadde nelle mani dei Cartaginesi dai quali fu liberata nel corso della prima guerra punica dai Romani, quando nel 256 a.C., nel mare di Licata, presso l'Ecnomo, fu combattuta la prima grande battaglia navale della storia. Diventata, così, sotto i Romani un grande emporio commerciale, la città andò sempre più sviluppando il suo perimetro urbano sull'antico colle di Licata. I segni del primo Cristianesimo sono presenti nelle necropoli di Santa Maria ricavate all'interno di antiche spelonche.
Poche notizie si hanno di Licata durante il periodo bizantino, quando iniziò a svilupparsi attorno al castello a mare Lympiados il primo nucleo dell'odierno centro storico. Nell'827 d.C. la città fu conquistata dal cadì Asad e rimase sotto i musulmani per più di due secoli, finchè non fu espugnata dai Normanni il 25 luglio 1086. Federico II, imperatore svevo, annoverò Licata tra le 42 città demaniali della Sicilia, concedendole nel 1234 il titolo di "Dilectissima", al quale nel 1447 il re Alfonso I unì quello di "Fidelissima". L'11 luglio1553 la città fu assalita e saccheggiata per sette giorni dal pirata Dragut che la distrusse quasi completamente. La ricostruzione fu ritardata dalla peste del 1625 che falciò molte vittime umane e dalla carestia del 1647, nonché dai tanti balzelli che l'esoso governo spagnolo esigeva dalla popolazione licatese, soggetta anche al pagamento di una particolare gabella sull'acqua.
Durante il sei-settecento la città si sviluppò sempre più all'interno della cinta muraria, interamente ricostruita, e si vestì di nuove e prestigiose architetture sia civili che religiose sorte lungo l'asse del vecchio e nuovo Cassaro. Sempre in questo periodo assunse maggiore importanza il regio Caricatore di grano, di antica fondazione,al quale approdavano velieri provenienti da tutto il Mediterraneo. L'ultimo sbarco di pirati turchi si ebbe nell'agosto del 1803, ma non trovò la città impreparata. Nel 1820 Licata si sollevò contro i Borboni. La resistenza contro il re di Napoli fu guidata dal patriota Matteo Vecchio Verderame che fondò nel suo sontuoso palazzo una delle prime logge massoniche della Sicilia.
Sbarcato Garibaldi a Marsala, Licata insorge ed invia un proprio drappello di uomini armati al seguito del liberatore il cui figlio Menotti, insieme a Nino Bixio, fu ospitato nella notte del 20 luglio 1860 nel sontuoso palazzo neo classico del marchese Cannarella. Passata la Sicilia sotto il governo piemontese, fu di stanza a Licata in qualità di comandante della 9a compagnia del 57° reggimento di fanteria, Edmondo De Amicis, l'autore del libro "Cuore". Nel 1870 Licata costruì a sue spese il ponte sul fiume Salso e nel 1872 il porto commerciale e si aprì le strade che la collegassero direttamente con le miniere di zolfo che determinarono la sua fortuna economica. La città divenne residenza abituale di facoltose famiglie e di numerose sedi consolari.
Vennero edificati parecchi palazzi e ville liberty, alcune progettate da Ernesto Basile ed affrescate da Salvatore Gregorietti. Lo zolfo alimentava ben cinque raffinerie, la più grande delle quali, costruita nel 1912 dalla Ditta Alfonso & Consoli di Catania, era forse la più importante d'Europa. Mulini, oleifici, fabbriche di ghiaccio, vari pastifici, nonché il grande stabilimento chimico della Società Montecatini e i primaticci della fertile piana costituivano le fonti del benessere di Licata. Dal 1922 il Fascismo fiorì anche in questa città. Il 10 luglio 1943, quando ormai le truppe dell'Asse erano in piena crisi, sbarcò a Licata la 3a divisione di fanteria USA, prendendo la città quasi senza colpo ferire. In quel medesimo giorno per Licata finì il Fascismo e con esso la guerra e si aprì la porta alla Democrazia.
Le stampe antiche
Licata tra Gela e Finziada
| LICATA TRA GELA E FINZIADA | | Ass. Reg. ai BB.CC e AA. e P.I. | Comune di Licata | Seminario di studi per la valorizzazione storico ed archeologica di Licata e del suo territorio _______________________________________________
Tetradramma d'argento di Gela con protome del toro, simbolo della città e la scritta Gelas
Lo sbarco Usa a Licata (10 luglio 1943)
Nella notte tra il 9 e il 10 luglio iniziò la “battaglia di Sicilia”, nel corso della quale i soldati italiani e tedeschi, nonostante disponessero di esigue forze, in talune zone tennero testa valorosamente alla soverchiante superiorità dell’invasore per ben trent’otto giorni. Il piano d’assalto, detto “Husky”, dal nome del cane siberiano da slitta, era stato elaborato dalla Force 141 dello Stato Maggiore alleato ed approvato dal presidente americano Roosevelt e dal primo ministro britannico Churchill alla Conferenza di Casablanca del 14-23 gennaio 1943, quando la campagna d’Africa può considerarsi ormai chiusa a favore degli alleati anglo-americani. Tale piano fu più volte rimaneggiato e modificato anche per alcune divergenze di opinioni sorte fra i capi militari. Ma alla fine prevalse il disegno del generale Alexander: la 18a armata avrebbe dovuto sbarcare nei pressi di Pozzallo, poi risalire per Augusta e Catania; la 7a armata avrebbe dovuto sbarcare presso Licata, codificata come area “Joss”, prendere Gela, assicurare il fianco alla 8a armata a Ragusa nella sua avanzata, mentre forti contingenti di truppe aviotrasportate, paracadutate oltre la testa di ponte, avrebbero occupato i punti chiave e protetto gli sbarchi. Alle ore 02,30 di quella notte venne dato l’allarme navale quando da Licata a Scoglitti, appaiono in formazione 942 navi della 8a flotta americana, giunte dalla Algeria, dalla Tunisia e da Malta. Sono 5 incrociatori, 48 cacciatorpediniere, 11 tra posamine e dragamine, 87 unità da combattimento di vario tipo, 94 unità ausiliarie e da trasporto e rifornimento, settecento navi e mezzi da sbarco. Nessuna corrazzata e nessuna portaerei presenti. Le operazioni navali sono dirette dal vice ammiraglio Henry Kent Hewit che si trova a bordo della Monrovia (8,889 tonnellate di stazza) assieme al generale Gorge Smith Patton che guida la 7a armata americana (3 divisioni di fanteria, in tutto 26 battaglioni, una divisione corazzata e 3 battaglioni Rangers) e che assumerà la direzione delle operazioni terrestri. L’obiettivo è l’occupazione del territorio di Licata, dal fronte costiero Gaffe-Due Rocche, con il porto e la città.
Nel settore di Gaffe, contrassegnato come “spiaggia rossa” sono in posizione le unità del gruppo d’attacco “Gaffi”, con i cacciatorpediniere Roe e Swanson, che ha il compito di portare sulla battigia il 7° raggruppamento tattico della 3a divisione di fanteria agli ordini del colonnello Harry B. Sherman. Nei settori Poliscia e Mollarella, detti “spiagge verdi”, sta il gruppo d’attacco “Molla”, con i cacciatorpediniere Edison e Bristol, con il compito di sbarcare il 3° battaglione rangers, agli ordini del tenente colonnello H.W. Dummer, e il 2° battaglione del 15° raggruppamento che marceranno verso est sulla città. Nel settore Plaia e Montengrande, detto “spiaggia gialla”, sono in posizione i cacciatorpediniere Wolsey e Buck e l’incrociatore Brooklyn e mezzi del gruppo d’attacco “Salso”, coordinati dal capitano di fregata William O. Floyd che ha il compito di trasportare a terra il 1° e il 3° battaglione del 15° raggruppamento agli ordini del colonnello Charles E. Johnson, con l’incarico di chiudere a tenaglia Licata. Nel settore Due Rocche, detto “spiaggia Blu”, sono pronti gli anfibi del gruppo d’attacco “Falconara”, supportato dal fuoco dei cacciatorpediniere Wilkes, Nicholson, Ludlow, Birmingham, che devono sbarcare il 30° raggruppamento del colonnello Arthur H. Rogers che ha l’ordine di conquistare il colle Disusino.
Le unità da combattimento alle 23,30 hanno sottoposto la costa e il semicerchio collinare ad intenso bombardamento con salve di potenti cannoni da 6 e 5 pollici. Alle ore 01,00 del 10 luglio il generale Alfredo Guzzoni dichiara lo stato di emergenza ed ordina di far brillare le ostruzioni, le banchine portuali e gli ormeggi. Alle ore 02,45, l’ora “H”, le unità navali americane spargono dense cortine di fumo e riaprono il fuoco assicurando il necessario supporto alle ondate di assalto verso gli arenili. All’alba irrompono, però, gli aerei del Luftwaffe, i bombardieri veloci provenienti dalla Sardegna e i caccia del 53° stormo della base di Catania. Alcuni vengono abbattuti, gli altri si ritirano.
Il primo sbarco si registra alle ore 04,10 sull’arenile di Gaffe, ma i fanti americani si trovano davanti un attivissimo fuoco da parte degli uomini del 139° reggimento della 207a divisione. La seconda e terza armata fa fatica ad arrivare sulla battigia, subendo gravi perdite a causa del fuoco da terra e del mitragliamento degli aerei tedeschi. Il comandante americano della spiaggia chiese la sospensione degli sbarchi, mentre le truppe bloccate sulla battigia fanno fatica ad avanzare. Alle ore 7,15, dopo l’intervento devastante dell’incrociatore Brooklyn che trebbia implacabile tutta l’area nemica di Gaffe, da Mandranova a Sconfitta, il fuoco difensivo cessa completamente. Alle ore 8,00 tutte le operazioni di sbarco degl gruppo “Gaffi” vengono completate con successo.
Alle ore 03,00 i rangers del 3° battaglione toccano terra alla Poliscia e dopo aver zittito il fuoco di difesa avanzano verso est e dopo aver superato le linee di difesa e imboccata la strada San Michele, avanzano verso Licata. Alle 03,40 la seconda ondata, al comando del col. Brady, che incontra sulla serra Mollachella l’eroica resistenza di un tenente italiano, rimasto ignoto. Il 2° battaglione, così, protetto dal Bristol e dall’Edison, guadagna la strada panoramica verso Licata e il castel Sant’Angelo. Il Bristol con le sue bordate colpisce Pizzo Caduta, Monserrato, il Belvedere, il Cimitero, mette fuori uso il treno armato che si trovava a protezione del porto e martella la città provocando seri danni a molti edifici del centro.
Presso il pozzo Gradiglia i Rangers ricevono la resa del 419° battaglione italiano, mentre alle 07,35 i fanti di Brady ammainano il tricolore issato sul castel Sant’Angelo, colpito dall’incrociatore Brooklyn e dal caccia Buck, e innalzano, al suo posto, la bandiera a stelle e strisce. Le perdite del gruppo sono lievi, ad eccezione dell’affondamento del dragamine Sentinel, più volte colpito dalle bombe degli aerei tedeschi.
Nella zona Plaia-Montegrande sbarcano due battaglioni del 15° reggimento del col. Johnson. La prima ondata tocca terra alle ore 03,40, quando già il comando del 390° battaglione italiano sulla spiaggia è stato abbandonato. Alle ore 9,30 i fanti americani guadano il Salso e marciano su Licata. Per l’intera durata dell’operazione i cacciatorpediniere Woosley e Buck, davanti al porto e dirimpetto alla Plaia cannoneggiano senza sosta. Sulla “spiaggia blu”, zona Punta Due Rocche, lo sbarco avviene in più ondate dalle ore 03,15, protetto dall’incrociatore Brooklyn che spazza le batterie sui fianchi del Disusino e dal Birmingham che martella anche Faino, Poggio Lungo e la cinta collinare sopra Falconara. Alle ore 07,50 sbarcano anche gli agenti della Centrale Italiana dell’OSS, l’ufficio dei servizi strategici che nel 1945 si trasformerà in CIA. In spiaggia ad attenderli c’è Frank Toscani, in zona da settimane, sotto false generalità, camuffato da commerciante di pomodori.Uno stuka tedesco affonda il caccia Maddox, che navigava al limite tra la zona Joss e la zona Dime. Alle ore 04,58 affonda con i suoi 211 membri dell’equipaggio, il comandante e 7 ufficiali. I superstiti sono solo 74.
Alle 11,30 dal balcone del Municipio di Licata, liberato dal nido di mitragliatrici dei R. Carabinieri, sventolano le bandiere americane e britanniche. Il maggiore Frank Toscani dell’Amgot assume il governo della città e stabilisce la sua base operativa nell’ufficio del podestà. Il generale Lucian K. Truscott pone il suo comando nel palazzo La Lumia. Un altro comando militare viene ospitato nella casa di campagna del sig. Giovanni Licata in contrada Montagna-San Cataldo. Sul molo di levante sbarcano i carri armati Stuart e Sherman del gruppo d’attacco “Gaffi”. Gli uffici dell’ex Fascio costituirono il comando della Polizia Militare, mentre l’ufficio circondariale di porto ospitò il comando della Usa Navy, sotto la cui giurisdizione passò il porto di Licata. Un aeroporto viene allestito nella Piana Romano.
Combattimenti susseguono domenica 11 luglio e nei giorni successivi. Si tratterà però di attacchi isolati di aerei tedeschi. Al largo di Gaffe viene affondata una nave ospedale, alle ore 8,10 viene colpota una nave da sbarco carica di carri armati. Nel pomeriggio vengono distrutti due mercantili a punta Due Rocche e un rifornitore a Safarella. Lunedì 12 luglio viene danneggiata la nave ammiraglia Monrovia che era stata appena visitata dal comandante della Force Husky, il generale Qwigth David Eisenhower, giunto da Malta con il cacciatorpediniere britannico Petard.
Sulle spiagge dell’area Joss, territorio di Licata, dal 10 al 12 luglio furono sbarcati 20.470 soldati e 3.752 veicoli, dal 13 al 31 luglio 29.294 soldati e 7.967 veicoli, nel mese di agosto 6.325 soldati e 2.430 veicoli.
Nella villa Elena fu improvvisato un campo di concentramento, anche per prigionieri civili, molti gerarchi fascisti dell’ultima ora. Si trattava di un campo di transito per i prigionieri di guerra che affluivano dall’interno della Sicilia. Da qui venivano periodicamente trasferiti al vicino porto ed imbarcati su grandi zatteroni per i campi P.O.W. di Orano, in Algeria.
Il maggiore Frank Toscani lascia il comando degli Affari Civili di Licata prima del ferragosto del 1943. Gli succede il capitano Wendel Phillips che resta al governo degli Affari Civili di Licata sino al mese di dicembre del 1943. Con la sua partenza se ne andarono anche le truppe americane da Licata, con le quali erano giunti anche due ospiti illustri dello spettacolo e della fotografia. Il primo, Maurice Chevalier, che tenne molti spettacoli nell’arena naturale dell’Ortu “du za Saru”, per mantenere alto il morale delle truppe dello zio Sam, l’altro, Robert Capa, fotoreporter del “Life”, che immortalò artisticamente con la sua macchina fotografica rare e preziose immagini di guerra. Molto significativa è quella che ritrae il fante di Marina Franklin Delano Roosevelt jr, figlio dell’allora presidente U.S.A., mentre accovacciato riceve indicazioni nelle campagne di Licata da un piccolo e vecchio contadino.
Moltissime furono le vittime civili licatesi provocate dallo sbarco. Se ne contarono almeno 73, ma il numero sicuramente è stato più alto, così ripartite: 32 caddero il 10 luglio, 26 morirono successivamente nell’ospedale del Croce Rossa per ferite riportate durante le operazioni di sbarco e 15 nei mesi successivi per scoppio di munizioni (11). Numerose furono anche le vittime tra le truppe da sbarco americane. Il gen. Patton in data 18 luglio, dopo la presa di Agrigento, comunicava, infatti, al generale Eisenhower di aver perso 5.600 uomini dei quali 500 morti, 1900 dispersi e il resto feriti.
Questo brano è tratto da Alicata Dilecta di Calogero Carità
Altri riferimenti bibliografici: Carmela Zangara, 10 luglio 1943, Le testimonianze dei Licatesi, Licata 2000, ed. La Vedetta Carmelo Incorvaia, 10 luglio 1943. La Usa Navy nello sbarco a Licata, in Lungo il piccolo Càssaro (note di storia della Sicilia minore), Licata 2004, ed. La Vedetta.
Lo stemma di Licata
"Di argento all'aquila, di nero al volo abbassato caricata in petto d'uno scudo d'azzurro al castello torricellato di quattro pezzi d'oro e finestrato di nero sorgente dalla campagna di azzurro, ondata di nero e di argento. Corna murale della città. Titolo: Diletta; motto: Alicata". Così lo stemma della città di Licata è descritto nel linguaggio araldico. L'aquila dal volo abbassato, da molti erroneamente scambiata con l'aquila aragonese, è invece l'aquila sveva, distintivo d'onore concesso anche a Licata quale città demaniale e costituiva l'emblema della potenza imperiale riconosciuto alle città fedeli alla fortuna di Federico II di Svevia. La rocca merlata, circondata dal mare, dalla quale si ergono quattro torri dorate di diversa fattura e altezza rappresenta la città munita e delimitata da due distinti corsi del fiume Salso che le conferivano la forma di un'isola, il regio castello a mare San Giacomo, il castel Nuovo, la torre Gioietta e il bastione armato Mangicasale.
Monumenti celebrativi
| | | Gaetano De Pasquali (Licata 1818-Viareggio 1902) Patriota, poeta, scrittore e giornalista, magistrato (Villa Elena), 2005 | Filippo Re Capriata (Licata 1867-Messina 1908) (Piazza Progresso), 1944 | Giuseppe Garibaldi (Piazza Progresso - Villetta Garibaldi), 1901 | | | | Monumento dei caduti della 1a guerra mondiale (Piazza Progresso), 1923 | Monumento ai caduti della 2a guerra mondiale, (Piazza Attilio Regolo), 1955 | Monumento ai caduti civili della 2a guerra mondiale 10 luglio 1943 (Piazza della Vittoria), 2007 | | | | Raimondo Saverino (Licata 1923-Borzonasca 1944) (Piazza Progresso - Villetta Garibaldi), 2005 | Monumento allo sbarco degli Americani a Licata della 3a divisione di fanteria 10 luglio 1943 - (Piazza Attilio Regolo) | Monumento a Rosa Balistreri opera dell'artista licatese Gino Leto inaugurato il 16 febbraio 2013 | | | | Clotilde Terranova morta a 23 anni nel 1911 Prospetto della biblioteca comunale “L. Vitale” | Monumento allo sbarco degli Americani a Licata nelle spiagge di Mollarella-Poliscia | |
Rosa Balistreri - 21 MARZO
Rosa Balistreri - VITTI NA CROZZA
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