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Articoli: Itinerario turistico
Architettura civile
Il centro storico di Licata, nonostante le gravi manomissioni subite dal sacco edilizio, custodisce ancora alcune emergenze architettoniche civile di 600-700 di pregevole fattura. Si trovano tutte quante lungo l'asse del vecchio Cassaro, costituito da via Sant'Andrea e da via Martinez e via donna Agnese che intersecano il vecchio quartiere della Marina, e il nuovo Cassaro, l'attuale corso Vittorio Emanuele e le adiacenze di piazza Sant'Angelo, via Frangipane, piazza Duomo. La vecchia Marina resta oggi soprattutto importante per il suo antico e tortuoso impianto viario, rimasto completamente invariato, caratterizzato in generale da viuzze e da numerosi cortili e piccoli pianori. Diverse emergenze architettoniche, seppur di minor valore artistico, si trovano ancora negli antichi borghi, quello di Santa Maria, soprattutto in via Grangela, quello di San Paolo, tipico quartieri assegnato ai Maltesi, soprattutto in via San Paolo e via Marotta e più avanti in via Postillo, di Sant'Antonio, in particolare in via Bucceri e via Sole e traverse. In corso Roma e in corso Umberto, invece, abbiamo alcuni palazzi aristocratici del primo 800 ( quello dei Cannarella, degli Urso e degli Urso Ventura in chiaro stile neoclassico) e del 900.

Palazzo Frangipane I Palazzi Frangipane. Appartennero ai nobili marchesi di Regalbuono, signori della Valle di Lupo che li edificarono nella metà del 700. Il più antico, il più bello ed anche il più maestoso è quello della parte iniziale del corso Vittorio Emanuele, oggi sede della Banca Popolare Sant'Angelo. La sua artistica facciata barocca, scandita da lunghe e larghe lese bugnate si apre in sette balconi sostenuti da mensoloni terminanti in buffe maschere. Fastoso è il portale dell'ingresso principale che immette in un grande cortile, parte voltato e parte a giorno, dove uno artistico scalone che conduce agli appartamenti del piano nobile, oggi non più esistenti, si conclude di una bellissima finestra bifora elegantemente decorata. Seppur imponente e molto più alto, è meno elegante il palazzo che prospetta sulla via Frangipane, corso Vittorio Emanuele e sul sagrato della chiesa Madre. Manomesso più volte nel prospetto realizzato con pietra di Malta, ha un artistico portale elegantemente intagliato che immette in un grande cortile chiuso voltato che si apre a sinistra in un secondo cortile a luce sul quale si affacciavano gli appartamenti interni del primo e del secondo piano. Attraverso una porta ad arco a tutto sesto, intagliata nella pietra, recante sulla chiave lo stemma della famiglia Frangipane (due leoni affrontati e coronati che sorreggono un pane frantumato), percorrendo l'antica scala, ancora esistente si arriva ai vari appartamenti, oggi di più proprietari, completamente manomessi.

Palazzo BosioPalazzo Bosio. Appartenne ai nobili cavalieri gerosolimitani di questa famiglia che lo edificarono nella 2a metà del 600 e lo abitarono sino alla fine dell'800. Si tratta di una costruzione che si sviluppa in lunghezza e chiude la grande piazza Sant'Angelo sul lato settentrionale, restando compreso tra la via D'Annunzio e il cortile Berengario. Il suo prospetto barocco è nobilitato da raffinati elementi decorativi. Parte del prospetto, quella che si conclude con la via D'Annunzio, è stato manomesso ai primi del novecento con l'aggiunta di una sopraelevazione che ne ha compromesso la generale armonia e l'unità artistica. La parte originale del prospetto, con i suoi balconi al piano nobile, è spartita da tre lesene su alti plinti, terminanti con capitelli corinzi di ordine composito. Assai singolari sono i due artistici portali, di uguale disegno e di uguale pregio, uno portava agli appartamenti del piano nobile, l'altro alle scuderie e ai magazzini. Nel fastigio del balcone principale è inserito lo stemma della famiglia.


Palazzo CelestriPalazzo Celestri. Appartenne alla omonima famiglia, insignita del titolo di marchesato. Il suo impianto monumentale, certamente del 600, oggi a tratti leggibile, per le vistose manomissioni subite, soprattutto nel 900, si sviluppa lungo via Collegio, via Signora e Piano Levano e confina con quello che resta del palazzo dei baroni Trigona. Della sua splendida architettura resta solo il suo maestoso portale costituito da un arco a pieno centro sostenuto da due poderose colonne. Lo stemma della famiglia, una mezza luna in campo azzurro fa la funzione di chiave dell'arco. Un altro scampolo della sua sontuosa architettura prospetta su piazza Elena, angolo via Collegio - via Signora.

Palazzo SerroviraPalazzo Serrovira. Si sviluppava ad angolo tra il vecchio e il nuovo Cassaro, oggi angolo corso Vittorio Emanuele-via Sant'Andrea. Appartenne all'omonima ricca e potente famiglia, stabilitasi a Licata all'epoca della monarchia aragonese e insignita da sempre del baronato del fiume Salso ed in epoca più recente del ducato della Catena. Della sua elegante architettura oggi non resta che l'artistico portale in pietra calcarea, sicuramente della prima metà del 600, che si apre su corso Vittorio Emanuele, recante scolpite sulle mensole che reggono il timpano le due effigi dei fondatori di Gela Antifemo di Crete ed Entimo di Rodi. In due distinti cartigli due epigrafi ricordano brevemente le vicende storiche dei due personaggi legati alla storia di Licata. Altrettanto manomesso è il grande cortile a luce, dal quale si accede allo scalone d'onore, con volte a vela, che conduceva al piano nobile, dove ancora sono superstite alcune eleganti porte con stemma, finemente scolpite e nella zona più alta e disabitata e completamente in rovina un intero piano con grandissime camere con tracce di eleganti cornici e stucchi, che testimoniano lo sfarzo di questa casa. Attraverso un passaggio sotto la via Sant'Andrea i nobili di questa famiglia si recavano nella loro chiesetta di via Collegio, che reca sull'arco il loro stemma (tre conchiglie), un tempo ricca di opere d'arte. Il lussureggiante giardino del palazzo che confinava con via Cannarozzo, luogo dei grandi magazzini e scuderie, non esiste più.

Palazzo CannadaPalazzo Cannada. Fu proprietà dei ricchi Marchesi dello Scuderi che a Licata ricoprirono l'ambita carica di vice portolani del Regio Caricatore dal 1648 al 1819. Confina con il palazzo Frangipane e con la navata nord della chiesa Madre, prospetta parte sulla omonima via e parte sul largo della Carità. La sua edificazione risale alla fine del 600 e l'inizio del 700. Buone sono le condizioni di conservazione. All'interno si ammirano ancora le stanze e le sale voltate ed affrescate e le antiche ed artistiche porte finemente intarsiate. Il palazzo dalle linee architettoniche molto sobrie, si apre con due ingressi. Quello di via Frangipane, che conduceva agli appartamenti, è certamente più elegante e di fattura più pregiata negli elementi lapidei e reca sopra l'arco lo stemma della famiglia: un vaso fiorito posto nel petto di un'aquila bicipite. Meno prezioso, ma comunque monumentale, è quello che si apre, alto, su largo della Carità, ugualmente sormontato dalle armi araldiche dei proprietari.
Palazzo AdonninoPalazzo MinafriaPalazzo Martinez
Palazzo Adonnino. Fu la dimora dei duchi di Canticaglione che lo edificarono nella parte terminale del nuovo Cassaro, oggi corso Vittorio Emanuele, con vista sul mare, vicinissimo al regio castello a mare San Giacomo. La sua edificazione si pone tra la seconda metà del 600 e l'inizio del 700. La sua mole confina con piazza Duomo, corso Vittorio Emanuele, via Adonnino e piazza della Vittoria. Caratterizzato da decisivi elementi barocchi, realizzati con pietra di Comiso, ha subito gravi manomissioni, modifiche stilistiche e strutturali tra gli anni cinquanta e sessanta. In linea con i due imponenti portali ad arco a tutto sesto, sui balconi campeggiano le armi araldiche della famiglia: un leone coronato e rampante con fiaccola accesa.

Palazzo Minafria. Appartenne ai ricchi baroni di Bifara e Favarotta che lo edificarono nella prima metà del 500, trasformandolo ed arricchendolo nel 700. Compreso tra il corso Vittorio Emanuele, la via Martinez e la via Federico, il suo prospetto principale domina il lato di ponente della piazza Duomo. Profondamente manomesso al piano terra, conserva nell'alzato l'intero fregio e gli antichi balconi sui quali si alternano timpani di diverso disegno.

Palazzo Martinez. Si trova a metà della via omonima, a destra, percorrendola da piazza Duomo verso i quattro canti. Apparteneva alla omonima famiglia che lo fece costruire sul finire del 600 e l'inizio del 700. Dell'antico prospetto resta solo l'elegante portale con arco a sesto ribassato in pietra di Malta ed in calcarinite dolce e il cortile colonnato interno, posto al sommo di scala, in gran parte manomesso.

Palazzo Platamone
Palazzo Platamone. È sito in via Sant'Andrea-angolo via Donna Agnese, proprio ai quattro canti del vecchio Cassaro. Era molto grande e sontuoso e disponeva di ben 42 stanze al piano nobile, magazzini e cantine al piano terra. Confinava anche con via San Francesco di Paola. Del suo sontuoso prospetto oggi resta pochissimo: due poggioli sull'angolo con via donna Agnese con possenti mensoloni terminanti con maschere grottesche, due balconi lungo la via Sant'Andrea sorretti da un unico poderoso mensolone per parte, l'elegante portale dell'ingresso in conci di tufo, finemente scolpiti, smontato pezzo per pezzo in un periodo imprecisato dello scorso secolo per rimetterlo in asse, una volta tagliata una parte del grande androne coperto dal quale si è ricavato un vano al piano terra, con il nuovo ingresso. In corrispondenza della chiave dell'arco stanno le arme araldiche della famiglia Platamone sormontate dalla corone di barone. Anche il cortile a luce presenta segni evidenti di incontrollati e selvaggi interventi di ristrutturazione.

Palazzo TrigonaPalazzo Trigona dei baroni di Rabuggino. Si incontra percorrendo in direzione nord-est la via Sant'Andrea sino a d arrivare a via Collegio. Sorgeva di fronte il palazzo Serrovira e confinava con il palazzo Celestri. La sua edificazione risale alla fine del 600. Del suo prospetto non rimane null'altro se non il grande portale in pietra calcarea, elegantemente scolpita, del portone su via Sant'Andrea che dava accesso alle stalle e ai magazzini. Sull'arco campeggia lo stemma araldico della famiglia.



Palazzo Cannarella. E' il più bello e forse il più sontuoso dei palazzi edificati agli inizi dell'800 extra moenia, all'inizio del corso Roma, angolo via San Paolo. Edificato in elegante stile neoclassico con colonnato nella parte centrale, rappresenta l'ala avanzata e più moderna del retrostante ed antico palazzo, edificato fuori dalla mura dalla famiglia Cannada, di cui ancora all'interno si possono ammirare alcune interessanti preesistenze architettoniche. All'interno ha mantenuto tutto il suo arredo artistico, quadreria, utensileria, mobilio, cappella ed un ricchissimo archivio delle famiglie Cannada-Frangipane-Cannarella, una pregiata biblioteca appartenuta ai Frangipane, il ricco archivio della miniera di zolfo di Passarello appartenuta a questa famiglia sin dalla fine del 700. E' passato alla storia anche per aver ospitato, come si legge su una lapide murata sulla parte centrale del prospetto, il 20 del 1860 Nino Bixio e Menotti Garibaldi, avanguardie garibaldine giunte a Licata per arruolare volontari.

Palazzo Verderame. Appartenne al ricco Matteo Vecchio Verderame, patriota, armatore ed industriale. Fu costruito presso il mare, vicino al palazzo Adonnino, angolo corso Vittorio Emanuele, viale XXIV Maggio e piazza Attilio Regolo, nella prima metà dell' 800. Il prospetto mostra ancora i segni dell'eleganza e della pietra di buona qualità utilizzata. L'androne è in stile neoclassico con nicchie e colonne. Una scala marmorea, illuminata da una grande vetrata che chiude il pozzo di luce, porta agli appartamenti del primo e del secondo piano, una volta sfarzosamente arredati di mobili della Ducrot, di suppellettili ed opere d'arte pregiate. Resistono al tempo e all'incuria le volte affrescate, forse dal Gregorietti. Molto bella quella del salone dei ricevimenti posto al primo piano.
Palazzo Verderame
Palazzo Caro-Cannarozzi-Dominici. Prospetta sul corso Vittorio Emanuele, di fronte la via Frangipane e confina con la via Adamo a sud e Cannarozzi a nord all'interno delle quali in origine si sviluppava in profondità con stalle, magazzini, cantine ed un lussureggiante giardino. La tradizione vuole sia in origine appartenuto alla ricca famiglia baronale dei Caro, signori del feudo e castello di Montechiaro e del principato di Lampedusa. Come si sa una ricca discendente di questa famiglia, donna Francesca, erede dei titoli e dei feudi, sposò Mario Tomasi, già vedovo, giunto a Licata con l'incarico di capitano d'armi a guerra. Da questo matrimonio ebbe origine la schiatta dei Gattopardo, la fondazione della terra di Palma e quindi la nascita del duca Santo e di San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, cardinale teatino, compatrono di Licata, che fu battezzato in casa a Licata, forse in questo palazzo. Dai Caro passò ai Cannarozzi e fu abitato dallo studioso e storico di antichità classiche Giuseppe Cannarozzi, autore di un testo di archeologia su Licata. Da questa famiglia passò ai Dominaci che lo ristrutturarono completamente nella seconda metà dell'ottocento. A loro appartiene lo stemma con corona di cavaliere posto sulla trabeazione in linea con il portone principale. Suggestivo è il cortile, ma risenta delle varie modificazioni subite dall'intero palazzo.


Chiese e conventi
La Natività (1572), di Deodato GuinacciaCappella del Crocefisso (sec. XVII-XVIII) – Particolare dell’altare ligneoParticolare del soffitto ligneo cassettonatoGesù nell’orto (sec. XVIII), di ignoto
Santa Maria La Nuova è il Duomo di Licata. Prospetta sulla piazza omonima e sulla parte quasi terminale del corso Vittorio Emanuele. Ha forma basilicale a croce latina, con tre navate e tre absidi e due cappelle lungo i bracci del transetto. L'attuale struttura appartiene ai rifacimenti del sei-settecento, dovuti all'ampliamento di una preesistente è più piccola chiesa della seconda metà del quattrocento, consacrata nel 1509, di cui restano il sontuoso ed artistico fonte battesimale di marmo bianco, dono di Giovanni Caro, signore di Licata e barone di Montechiaro, eseguito tra il 1498 e il 1499 dal maestro marmoraro Gabriele di Battista da Como, e il bellissimo Crocefisso Nero attribuito a Iacopo e Paolo de Matinali di Messina che lo eseguirono in mistura di legno nel 1469. All'interno del Duomo si possono ammirare numerose opere d'arte: i grandi quadroni degli altari delle navate (cm. 500x285) e i tre dipinti del battistero (cm. 325x170) appartengono al pennello del pittore cappuccino Fra Felice da Sambuca (1733-1805), la bellissima "Immacolata" del licatese Ignazio Spina, che scolpì anche le statue lignee degli altari delle absidi laterali: "Il Cuore di Gesù" e "San Giuseppe con il Bambino". Gli affreschi della volta della navata centrale e gli affreschi della volta del transetto, con scene del Vecchio Testamento, e i quattro pinnacoli alla base della falsa cupola sono di Raffaele Politi (Siracusa 1783-Agrigento 1870) che li dipinse a partire dal 1824. L'organo fu progettato ed eseguito nel 1898 dalla Casa Organara del cav. Pacifico Inzali di Crema. E' uno dei due che vennero da questa casa progettati per la Sicilia. Nell'abside campeggia dietro l'altare maggiore un grande dipinto su tela (cm. 470x320) con la "S. Natività della Vergine e i Santi Pietro, Paolo e Angelo", attribuito ad un anonimo fiammingo della 1a metà del XVII sec. Alle pareti dell'abside si possono ammirare, a sinistra,"L' Adorazione dei Maggi", un dipinto su tela (cm. 350x185) di Fra Felice da Sambuca, a destra, "La S. Natività", un raro dipinto su tavola (cm. 190x160) del 1572, attribuito all'estro di Deodato Guinaccia. La cappella del Crocefisso (m. 16,50x7,80), un'opera realizzata completamente in legno scolpito e finemente cesellato e dorato, è sicuramente l'ambiente più prezioso della Chiesa Madre. Il soffitto è a lacunari lignei, unici a Licata, fu completato nel 1705, il bellissimo altare, pure in legno scolpito, con elevazione coperta da un timpano spezzato sostenuto da un insieme aggettante di colonne tortili, appartiene al maestro Giuseppe Di Bernardo che lo realizzò nella prima metà del seicento. I quattro dipinti su tela della navata (cm.380x200) con scene della Passione di Cristo sono del veneziano Giuseppe Cortesi (1721-1737), mentre di Nunzio Magro (? 1627-Agrigento 1704) sono i cinque ritratti su tela (179x128) di personaggi del Vecchio Testamento. Al licatese Giovanni Spina, invece, appartiene il paleotto dell'altare (1810). Nella pregiata custodia dell'altare il Cristo Nero, "miracoloso e colpito dalla sagitte del turco", una volta pendente dall'arco trionfale della navata, che i Licatesi ritengono sia rimasto annerito dal fuoco delle cataste che i Turchi, durante il sacco seguito all'11 luglio 1553, vi accesero sotto per bruciarlo. Ai piedi della navata un'artistica teca custodisce varie reliquie di Santi e rari documenti, tra cui l'atto di battesimo di San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, cardinale teatino, compatrono di Licata. Di grande pregio artistico è la teca d'argento contenente la reliquia della Santa Croce, eseguita dall'orafo licatese Tommaso Balsamo nel 1753 per conto del canonico Angelo Alotti che la donò alla Cappella del Crocefisso.
Giosuè (sec. XVIII), di Nunzio MagroMosè (sec. XVII), di Nunzio MagroSalomone (sec. XVII), di Nunzio Magro
Mosè (sec. XVII), di Nunzio MagroDaniele (sec. XVII), di Nunzio MagroDavid (sec. XVII), di Nunzio Magro
Nel braccio sinistro del transetto esisteva un'altra cappella lignea, fatta costruire nel 1786, meno pregiata, ma con uno stupendo soffitto cassettonato e un mirabile altare ligneo intagliato con decorazione fitoforma. Era detta cappella della "Madunnuzza" per il piccolo dipinto su tavola (cm. 85x50) del XVII sec. con la Madonna e il Bambino che vi adorava. Il fuoco, provocato da un corto circuito la distrusse completamente nell'autunno del 1988, unitamente alla quadreria con i ritratti dei canonici e gli arcipreti della Collegiata, gli antichi paramenti, gran parte dell'archivio parrocchiale e altre opere d'arte.Nell'Ufficio Parrocchiale sono custoditi preziosi documenti d'archivio, tra cui antiche bolle pontefici e vescovili, diversi interessanti volumi manoscritti e il prezioso volume manoscritto contenente i miracoli di Sant'Angelo, martire carmelitano, raccolti a partire dal 1625 dal not. Giacomo Murcio. Chiesa di San Francesco. La sua edificazione risale al 1319. I PP. Francescani utilizzarono inizialmente la preesistente chiesetta di S. Giovanni Battista, ottenuta dai Cavalieri Gerosolimitani, edificandole accanto una loro casa per ospitare trenta fratelli dell'ordine del minori conventuali. Dopo il sacco dei Turchi dell'11 luglio 1553 la chiesa venne quasi totalmente riedificata assumendo l'attuale struttura ad una navata con abside ed altari laterali ed una cappella. Grazie ai lunghi lavori di ampliamento e di restauro la chiesa e l'annesso convento assunsero una vesta artistica e maestosa, sicuramente la più monumentale di Licata. Sorge nella parte mediana dl Corso Vittorio Emanuele e fa da cardine del quartiere barocco e della città antica. Il suo marmoreo prospetto, dalle linee tardo seicentesche, con risentito telaio di membrature e plastico aggetto di timpani e cornici, fu eseguito nel 1750 su disegno dell'architetto trapanese Giovan Biagio Amico. La volta della navata fu affrescata non più tardi della prima metà del 700 da un anonimo pittore con tre scene della vita di San Francesco.
L’Assunta giacente (1a metà sec. XIX). Di padre. Serafino da Licata

Battesimo di Cristo (sec. XVIII), di Domenico Provenzani
Sul lato sinistro della navata si apre la bellissima cappella dell'Immacolata col prezioso altare di legno intagliato e dorato della prima metà del 700. Tra due colonne che rivelano il gusto manierato di quest'opera , una nicchia custodisce una delicatissima immagine della Vergine scolpita nel legno, coperta da un dipinto su tela dell'Immacolata opera dell'artista palese Domenico Provenzali. Nel vano della cappella si ammira anche una straordinaria immagine lignea del Cristo alla colonna di Ignazio Spina (Licata 1829-1914) con chiari accenti realistici di sicura età settecentesca. Sotto la cantoria lignea del settecento, che sovrasta l'ingresso della chiesa e custodisce ancora un antico organico a mantice, si trovano le tombe marmoree del capitano spagnolo Diego de Figueroa (1587) e del duca della Catena Palmerio Serrovira (1730), nobile licatese. Dei cinque altari della navata il più interessante è il secondo da sinistra con un Crocefisso ligneo tardo seicentesco di discreta fattura e con il sottoarco ricoperto da quadretti reliquiari, mentre una stipite lignea ricavata sull'alzato della mensa dell'altare custodisce la Vergine Assunta giacente, già nella chiesa del convento dei PP. Cappuccini, coperta da un dipinto su tela (cm. 80x208) con lo stesso soggetto, opera di P. Serafino da Licata (Licata 1785-1825). Nell'abside a struttura pentagonale, oltre all'altare marmoreo principale e il coro ligneo con 22 stalli con serrato coronamento dei più tipici elementi decorativi del XVIII sec., si custodisce una preziosa edicoletta di legno finemente lavorata e dorata con colonnine tortili ed antiche che ospita un Bambino Gesù collocabile nell'ambito della produzione artistica popolaresca del Seicento.

L’Immacolata (sec. XVIII), di Domenico ProvenzaniDal coro che ospita numerosi ritratti di padri francescani licatesi, si accede nella grande sagrestia, una volta ricca di sfarzosi armadi lignei con i paramenti degli officianti. Sulla porta della sagrestia un dipinto del Seicento con San Giovanni Battista che battezza Gesù. La chiesa conserva ancora diverse serie di candelabri del XVIII e XIX secolo in legno intarsiato, di buon artigianato locale, alcuni ostensori e calici in lega di metallo argentato e dorato, opera di argentiere siciliano del XVIII secolo, una tela (cm. 90x70) con un delicatissimo primo piano dell'Immacolata finemente modellata da Domenico Provenzali. Il convento, che prospetta su piazza Elena, via San Francesco e piazza Sant'Angelo, ha un pregiatissimo chiostro restituito al suo antico splendore da un recente restauro. All'interno ancora custodisce una rara cappella lignea, detta dell'Infermeria, dove i frati infermi andavano a dire o a sentire messe. Le sue pareti e il suo altare sono impreziositi da pannelli dipinti con scene del Vecchio Testamento, mentre sull'altare stava un dipinto dell'Immacolata in gloria dentro preziosa cornice lignea scolpita, opere sempre del Provenzani. Nella seconda metà del settecento il convento ospitò la prima scuola pubblica di Licata, detta Liceo Serroviriano, fondata da suor Marianna Serrovira, badessa del locale convento delle cistercensi, ricca e potente erede della famiglia Serrovira, ed una accademia di poeti arcadi.

Martirio di S. Angelo (sec. XVII), di ignotoChiesa di Sant'Angelo. E' la chiesa patronale di Licata ed è intitolata a Sant'Angelo Carmelitano che nel luogo dove questa chiesa sorse nel maggio del 1220 subì il martirio per mano del regio castellano della città, tal Berengario La Pulcella. L'attuale impianto chiesastico, che prospetta monumentale sull'omonima piazza, con struttura basilicale a tre navate con transetto e cappellone sul lato sinistro dell'abside, risale ai lavori di totale rifacimento della precedente chiesa, che ebbero inizio a partire dal 1639. La sua realizzazione richiese più di 150 anni. Si ha la certezza di un progetto del 1658 firmato da Angelo Italia, architetto gesuita licatese, che diede un Morte di S. Angelo (1a metà sec. XVIII), di ignototangibile contribuito ai suoi restauri dopo il sisma dell'11 gennaio del 1693 e alla costruzione della sua cupola nel 1696. Le dodici colonne delle navate provengono dalle cave di Billieme. Vi si ammira oggi il pozzo miracoloso, dove sarebbero state scoperte le reliquie di Sant'Angelo, realizzato con una artistica balaustra ottagonale nel 1673 dal maestro marmoraro trapanese Giovanni Romano, committente il barone Francesco Vincenzo Buglio Minafria e Serrovira. Sul puteale si trova la delicata statuina (cm. 52) in marmo bianco venato di Sant'Angelo sul letto di morte. A sinistra della navata l'antica cappella di Sant'Angelo, che ospita le reliquie e l'urna d'argento del Santo Patrono, rifatta nel 1731 e protetta da un alto ed artistico cancello in ferro battuto progettato dal can. Angelo Italia, architetto della Curia agrigentina, e realizzato dai maestri Giuseppe Lo Blundo di Licata e Giovanni Lauricella di Agrigento.

Ecce Homo (sec. XVII), di ignotoLa chiesa custodisce ancora numerose e pregiate opere d'arte. Nelle navate si ammirano il dipinto della Madonna della Lettera (cm. 210x128), di ignoto siciliano del Seicento, due tele di ignoto artista del 600 con Sant'Angelo in estasi e con il Martirio di Sant'Angelo, poste nel transetto a destra e a sinistra dell'abside, il dipinto dell'Ecce Homo ( cm.140 per lato) degli inizi del XVI secolo, dove l'anonimo artista si richiama alle esperienze pittoriche di Antonello da Messina, le statue lignee del Settecento del profeta Elia, di San Francesco di Paola e della Madonna di Trapani. Nella cappella di Sant'Angelo si custodiscono i preziosi dipinti su tela con i SS. Filippo e Giacomo (cm. 350x220), di anonimo artista siciliano del 700, e la Deposizione (cm. 350x225) di Gioacchino Martorana che dipinse nel 1778. Assai prezioso è il tesoro di Sant'Angelo, costituito da numerosi pezzi del 700. Tra i più pregiati il paliotto d'altare (cm 280x100), in pesante lamina d'argento sbalzato su velluto rosso con al centro un medaglione pure d'argento con il santo benedicente e un ostensorio d'argento (alt. cm. 55) con incastonati, attorno al vuoto centrale, quattro lapislazzuli, sette rubini e quattro smeraldi. Ai piedi delle navate stanno i cenotafi e i sarcofagi marmorei di Angelo Frangipane e Celestre (1795), del marchese Gerolamo Frangipane (1758), del marchese Domenico Cannada (1762), della baronessa Isabella De Caro e Miano.

Al 1748 risale il nuovo prospetto della chiesa, rimasto incompiuto, ma parzialmente completato nella parte centrale con due ordini di colonne. Non furono mai realizzati i due previsti campanili laterali. Non si conosce il progettista, ma si sa che il lavoro eseguito nel 1752 venne valutato dal canonico Angelo Italia, architetto ed "ingegnerio" della Diocesi di Agrigento, e dall'arch. Giovanni Biagio Amico. La costruzione dell'annesso convento, di cui oggi si può ammirare il restaurato chiostro, venne deliberata nel 1625. Al suo interno si ammirano numerosi dipinti non molto pregiati, alcuni provenienti dal convento del Carmine maggiore. Soppresso l'Ordine dei Carmelitani dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il convento, adibito anche a caserma, nel 1867 ospitò Edmondo De Amicis, l'autore del libro "Cuore", allora comandante la 9a compagnia del 57à reggimento di fanteria di stanza a Licata.

Chiesa S. Agostino - facciataChiesa di Sant'Agostino. Elevata a santuario nel 1973 con decreto vescovile, la sua costruzione risale al 1611, quando i padri agostiniani ottennero dal Vescovo il possesso dell'antica chiesa di Santa Margherita presso il regio Caricatore, che trasformarono completamente e vi edificarono accanto una casa per la loro comunità che la mantenne, seppur con qualche interruzione sino al 1735. E' la chiesa per eccellenza dei lavoratori del porto che si sono affMadonna della cinturaidati alla protezione della Madonna Addolorata, la cui artistica immagine lignea del 700, attribuita a tal Giuseppe Piccone, sconosciuto allievo del Serpotta, di recente restaurata, è custodita sull'altare maggiore. La Vergine porta al collo un medaglione d'argento con le reliquie della colonna della flagellazione ed è coronata da una stellario d'argento. Un pugnale pure d'argento emerge dal suo cuore trafitto dal dolore. A parte qualche elemento architettonico di rilievo nel prospetto, l'interno della chiesa, una piccola navatella di pochi metri, custodisce un dipinto su tela (cm. 235x190) del 700 con la Madonna della cintura con il Bambino e i SS. Agostino e Monica ed un Crocefisso ligneo della stessa epoca molto espressivo e di pregiata fattura. Il sottoarco dell'altare maggiore è adornato da sette dipinti su tela di forma circolare (diametro cm. 42), attribuiti al pennello del licatese Giuseppe Spina che vi ha illustrato i sette dolori della Vergine

S.AgostinoS. Gregorio MagnoAddolorata1° Dolore
Chiesa S.Agostino (interno)

Chiesa di S. Gerolamo - dipinto con S. Gerolamo penitente Chiesa di San Gerolamo. Si trova nel cuore della vecchia Marina, nel piano omonimo e si raggiunge o da via Sant'Andrea o da via Martinez. Già parte dell'antico monastero di Santa Chiara, nel 1578 divenne l'oratorio della confraternita della Misericordia che la mantiene ancora oggi. L'edificio, di modesta architettura e ad una sola navata, custodisce sull'altare principale un grande dipinto su tela (cm. 300x250), chiuso da artistica cornice di legno scolpito e dorato, con San Gerolamo nella fossa dei leoni, opera seicentesca di un non conosciuto seguace della scuola caravaggesca in Sicilia. Nell a sagrestia si custodiscono i sacri legni del Cristo crocifero, il cristo deposto, l'urna lignea e le croci del Calvario per la ricorrenLe anime Sante del Purgatorio (1a metà sec. XVIII), di Filippo Randazzoza del Venerdì Santo. Chiesa di San Giacomo Apostolo, oggi del Purgatorio. Sorge presso piazza Elena, annessa alle fabbriche dell'antico ospedale di S. Giacomo d'Altopasso, retto dalla omonima confraternita dei Nobili. Della sua esistenza si trova notizia ante 1177. La sua unica navata, coperta da soffitto ligneo cassettonato, ospita, oltre all'altare principale, due altari laterali. Sull'altare maggiore si ammira una grande pala dipinta su tela con Le anime sante del Purgatorio dipinta nella prima metà del XVIII secolo da Filippo Randazzo. Alla parete sinistra del presbiterio il dipinto su tela (cm. 390x210) con la Madonna del Lume del XVII secolo attribuibile ad ignoto allievo della scuola del panormita Vito D'Anna. Buono è lo stato di conservazione e il soggetto è di notevole qualità. Alla parete destra il dipinto su tela (cm. 232x174) con La Parabola del Convivio, di ignoto artista del 700 della scuola o del Provenzani o di Raimondo De Bernardis. La navata ospita altri quattro dipinti su tela (cm. 250x113) entro cornici di gesso raffiguranti i quattro evangelisti, attribuibili al Provenzani.

Madonna della CaritàS. Caterina, legno policromo del XVII-XVIII sec.S. Caterina, particolare del volto

Il Cuore di Gesù, S. Angelo e S. G.M. Tomasi (1a metà sec. XIX), di Giuseppe SpinaChiesa della Carità. Sorge nell'omonimo piano, accanto alla Villa Elena. Edificata nel 1622, fu la chiesa dell'omonima confraternita, ancora oggi esistente ed operativa. Di modesta architettura il suo prospetto; assai pregiato, invece, è il corredo pittorico ed artistico della sua unica navata voltata, decorata di stucchi azzurri in campo bianco. Di modesto pregio il dipinto (cm. 229x178) con Sant'Angelo e il Beato cardinale Giuseppe Maria Tomasi di Giuseppe Spina (Licata 1790-1861). Assai pregiato è l'altare in marmo rosso con colonne tortili, sormontate da un fregio spezzato, realizzato nel 1739, così come di grande valore artistico è la statua lignea della Madonna della Carità (alt. cm. 150), eseguita nel 1735 da tal Pietro Catalano, committente Suor Maria Anna Serrovira e Figueroa, badessa del vicino partenio cistercense. D'argento è la corona con stellario, donata alla Madonna dalla medesima Serrovira. Nella navata si ammirano sei dipinti su tela (cm. 150x65) di Giuseppe Spina con le Beatitudini. Gli affreschi della volta, attribuibili pure a Giuseppe Spina, raffigurano la "Dormitio", l'"Assuntio" e la " Incoronatio" di Maria Vergine. Nella sede della confraternita si custodisce il prezioso tesoro di argenti della chiesa, le antiche scritture e l'archivio, e altri dipinti su tela di Giuseppe Spina di pregiata fattura, quali La Madonna della SS. Carità (cm. 223x114), l'Adultera (cm.190x139) e La Samaritana (cm. 190x139). Di un certo interesse artistico è il Cristo flagellato, della 2° metà del sec. XVIII, di Giovanni Spina, padre di Giuseppe, realizzato con apprezzato realismo.

Chiesa S. Salvatore prospetto (sec. XVIII)Chiesa del San Salvatore. Prospetta sull'omonimo piano tra l'ala meridionale del convento di Sant'Angelo e l'ala settentrionale della Badia cistercense. Esisteva già prima del 1563 ed appartiene all'omonima confraternita ancora esistente. Il suo scenografico prospetto risale al 1697, mentre il campanile, altrettanta pregiata architettura, fu costruito nel 1773. Manca, purtroppo, l'artistica cancellata in ferro battuto disegnata nel 1875 dagli ingegneri Geremia Delia e Giovambattista Merlo. La sua unica navata, impreziosita da stucchi bianchi su fondo celeste, custodisce ancora tra cornici di gesso, alcuni dipinti su tela (cm. 150x72) con i Santi Apostoli ed alcuni episodi del Nuovo Testamento, La guarigione degli storpi (cm.139x 190), attribuibili a Giuseppe Spina. In una nicchia alla parete destra, un Cristo di legno alla colonna (altezza cm. 155), attribuibile ad un artista locale del 700, forse Giovanni Spina, che ha trattato con molto realismo il volto di Gesù dolorante. Di Ignazio Spina è, invece, il Crocefisso ligneo della navata. Sulla volta gli affreschi di Giuseppe Spina con gli episodi della Moltiplicazione dei pani e L'Ultima cena. All'ingresso, in una nicchia, la statua lignea del 700 di Santa Barbara.

Chiesa di San Paolo dei Maltesi. Fu edificata per servire il nuovo quartiere extra moenia, nato per ospitare i profughi maltesi in fuga dalla loro isola continuamente attaccata dai pirati turchi. Fu aperta al culto nel 1623. Si erge, in alto, al termine della via San Paolo. Della sua antica struttura oggi non esiste più nulla. Addirittura la sua pianta fu completamente girata ed allungata. Si possono, tuttavia, ammirare, oltre alla statua lignea del 700 di San Paolo, alcuni dipinti, anche di pregiato risultato artistico: La Madonna del latte (cm. 50x70) di Domenico Provenzani (1790), l'Immacolata (cm. 60x76) e il Cuore di Gesù di Domenico Provenzani, Sant'Angelo (cm. 63x78) di Ignazio Spina, San Francesco, la Madonna e Santi (cm. 106x123) di R. Manzella (1873). Nella sagrestia si custodiscono alcuni armadi lignei del 700 con reliquiari e dipinti con l'Immacolata.

Madonna del latte (opera di Domenico Provenzani, sec. XVIII)Immacolata (opera di Domenico Provenzani, sec. XVIII)

Chiesa di Santa Maria di Gesù. Così la intitolarono i Francescani dell'osservanza. Ma è anche detta Santa Maria La Vetere e Santa Maria del Monte. E' la più antica chiesa di Licata e sorge su un terrazzo della media costa della via Santa Maria, a circa 40 metri s.l.m., con vista verso oriente. Fu elevata a parrocchia nel 1949, chiusa al culto negli anni sessanta e restaurata a partire dal 1979, è stata riaperta al culto nel 1988. La sua fondazione, con l'accesso cenobio di PP. Benedettini, risale al 580 d. C. ed è attribuita alla Beata Silvia, madre del papa S. Gregorio Magno. Le attuali strutture risalgono alla sua completa riedificazione da parte dei Benedettini, avvenuta tra la fine del 1200 e l'inizio del 1300. Ha impianto basilicale con tre navate divise da pilastri, trasformate più tardi in colonne, e da archi di sesto acuto, oggi, dopo i restauri, coperte da volte travate. In origine le sue pareti erano affrescate. Rimane ora qualche traccia di affresco, emerso dai restauri, riproducente San Gregorio Magno. Nel 1589 venne concessa ai PP. Francescani dell'Osservanza che vi eseguirono radicali interventi di ristrutturazione, ampliando anche l'annesso convento, diventato nel periodo post unitario ospedale civico.

Il presbiterio si apre con un arco trionfale a pieno centro di epoca tardo cinquecentesca sostenuto da due esili colonne corinzie su alto plinto, decorate alla base con fiorami a rilievo. Al 600 si possono attribuire i sei bellissimi altari laterali, tre per navata, dotati di maestosi paliotti in stucco sbalzati. Al 700 appartiene la bellissima custodia lignea, dipinta in oro, dell'altare maggiore, opera squisita certamente di un anonimo artista francescano. Intorno al 1741 fu completato il rivestimento con pannelli lignei scolpiti delle pareti delle navate e dei rispettivi altari. Sei lacunari ottagonali, tre per navata, ospitano altrettanti episodi di vita francescana dipinti su tela.

Nonostante i gravi danni provocati dai vandali nel periodo della inattività ed abbandono, la chiesa di Santa Maria conserva ancora numerose opere d'arte: L'Addolorata, un dipinto su tela (cm. 111x85) della 2a metà del XVIII sec., molto vicina ai modi del tardissimo novellesco Giuseppe Felici da Trapani, San Gregorio Magno in trono, un dipinto su tela(cm. 220x170)del XVII secolo, Le anime sante del Purgatorio, un dipinto su tela (cm. 125x96) davvero degno di interesse per l'impostazione delle figure e per i toni veristici e drammatici e soprattutto per le vivaci tonalità cromatiche, la statua lignea del XVII sec. di san Michele Arcangelo (alt. cm 140 dal piedistallo), le statue lignee di San Francesco (alt. cm. 151), di Sant'Antonio da Padova (alt. cm. 152), e di San Pasquale, tutte quante riferibili alla 2a metà del 700. Significativa è la statua di San Calogero (alt. cm. 172), proveniente dal vicino santuario rupestre. La statua, realizzata nel 1726 in tela di iuta stuccata e dipinta, è molto rigida nella impostazione e ripete le caratteristiche di certi prototipi iconografici tradizionali esistenti in molte parti dell'Agrigento, dov'è radicato il culto del Santo nero. L'abside della navata sinistra ospita l'immagine lignea della Madonna delle Grazie, proveniente dall'omonima e non più esistente chiesetta. I dodici quadretti della Via Crucis (cm. 58x42) potrebbero essere gli stessi che il pittore licatese Giovanni Portaluni dipinse nel 1625. Alla chiesa appartiene il Crocefisso di bronzo di S. Carlo Borromeo, portato a Licata da don Pietro Pardo, capitano di fanteria spagnola.

Interessante da visitare è la cripta scoperta proprio al centro della navata e attribuibile alle opere di rifacimento dei Francescani. Si tratta di una ambiente a pianta rettangolare, voltato a botte, con due file di sedili, sui lati lunghi, destinati in origine ad accogliere i cadaveri. Sul fondo era collocato un altare in muratura di gesso. Pure interessante è il pozzo di età ellenistica scoperto durante i restauri nella zona della navata destra.

Predica di S. Vincenzo Ferreri (sec. XVIII), di Domenico ProvenzaniChiesa di San Domenico. Con il suo barocco prospetto del 700 si impone al termine di una alta gradinata a metà circa del corso Roma, percorrendolo in direzione nord. Fu edificata sulla preesistente chiesa di Sant'Antonio Abate dai PP. Domenicani che la ottennero nel 1630 e vi edificarono accanto il loro convento. L'interno è ad una navata con abside. Assai prezioso è il suo corredo artistico. Sei dipinti su tela (cm. 290x135) di ignoto pittore del 700 di altrettanti santi domenicani, tra cui San Giacinto da Cracovia, percorrono la navata da sinistra a destra. Il battistero, posto in un angolo a sinistra dell'ingresso, è adornato da una grande tela (cm. 330x230) S. Antonio Abate (1603), di Filippo Paladinicon Sant'Antonio Abate e storie della sua vita di Filippo Paladini (Casi 1544-Mazzara 1614) che la dipinse nel 1603. Sull'altare maggiore troneggia la grande pala su tela (cm. 480x340), opera del Paladini (1612), con la S. Trinità e Santi. Alla parete sinistra del presbiterio il dipinto con La strage degli innocenti (cm. 286x200), composto dentro ampia ed artistica cornice finemente dorata, di ignoto autore del 700 che ha voluto riprodurre, forse da una stampa, l'opera di Rubens custodita all'Alte Pinakothek di Monaco. Ai piedi della navata, sui due primi altari, due pale su tela dipinte da Domenico Provenzani: L'apparizione dei SS. Pietro e Paolo a San Domenico (cm. 339x235), La predica di San Vincenzo Ferreri (cm. 335x 236). Dell'antico convento resta solo il prospetto lungo il corso Roma in gran parte manomesso. Del chiostro e degli ambienti interni non esiste più nulla. La cripta di recente restaurata conserva ancora le sue antiche volte, ma già da lunghissimo tempo risulta essere stata svuotata delle tombe che custodiva.

Miracolo di S. Caterina (sec. XVIII), di ignotoS. Giacinto da Cracovia (sec. XVIII), di ignotoS. Pietro Martire (sec. XVIII), di ignoto
S. Antonio, vescovo di Firenze (sec. XVIII), di ignotoS. Antonio, vescovo di Firenze (sec. XVIII), di ignoto

Morte di S. Giuseppe (1732)Chiesa del Carmine o dell'Annunziata. Sorge sulla piazza omonima, angolo via G. Amendola. La sua edificazione risale al 1200, ma la sua attuale struttura è conseguenza del totale rifacimento compiuto tra 600 e 700. L'interno è ad una navata con abside e quattro altari laterali. Diversi i dipinti che adornano la adornano. A Domenico Provenzani sono attribuiti i dieci medaglioni (cm. 190x115), posti tra gli altari e l'abside, con i Santi carmelitani, tra cui Sant'Angelo e Sant'Albberto. A Giuseppe Felici (Trapani 1656-1734) appartengono i dipinti su tela (cm. 305x 205) che adornano i due primi altari della navata, eseguiti nel 17Prospetto (sec. XVIII), di Giovanni Biagio Amico32: La morte di San Giuseppe L'estasi di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Della scuola del Gagini è l'arco in marmo bianco del secondo altare del lato sinistro della navata, dove sono effigiati i fondatori di Gela e le armi araldiche del committente. Sull'altare maggiore la bellissima statua lignea della Madonna di Trapani, recente restaurata e restituita alla sua originaria cromia. Dietro l'altare maggiore, la sagrestia che, seppur manomessa negli anni, conserva ancora la sua originaria volta a crociera ascrivibile al XIII-XIV sec. partita da robuste nervature che poggiano sui piedritti angolari. L'arredo ligneo che la arredava è andato distrutto nel corso di un incendio doloso, unitamente ad alcune opere d'arte di buon livello artistico. Sono scampate alle fiamme, che comunque hanno lasciato il loro segno, una statuina in alabastron della Madonna di Trapani ed una riproducente San Gerolamo.


S. Maria Maddalena dei Pazzi (1732), di Giuseppe feliciAll'ingresso, sotto la cantoria, ormai priva dell'antico organo, sono stati sistemati gli artistici sepolcri marmorei, provenienti dalle cappelle gentilizie non più esistenti, alcuni con il letto funebre, altri con il busto a tutto tondo del defunto, di Andrea Minafria (1576), di Palma Minafria (1579), di Antonia Belvisa Plancto (1607), di Giovambattista Formica (1626), di Antonio Serrovira Anelli (1637) e di Tomma si Impellizzeri. E' stata distrutta la cappella gentilizia che ospitava le tombe della potente
Aula capitolare in stile chiaramontano (sec. XIII-XIV)
famiglia baronale dei Caro. L'artistico prospetto marmoreo, molto articolato nelle sue linee, è il più bello e monumentale di Licata assieme a quello della chiesa San Francesco. Fu disegnato dall'architetto Giovan Biagio Amico da Trapani e fu eseguito da maestri scalpellini e marmorari trapanasi tra il 1746 e il 1748. L'attiguo convento, di recente restaurato nel prospetto, è pure assai antico ed era annoverato tra i più importanti della provincia carmelitana di Sicilia. Ospi tava quaranta religiosi e numerosi conversi e venne scelto dall'ordine come casa e collegio di studi per l'intera Sicilia. Più volte ampliato nei secoli, la forma attuale si deve alla ristrutturazione di Giovan Biagio Amico che tuttavia inglobò nelle nuove fabbriche il bellissimo chiostro del cinquecento con archi a pieno centro ed esili ed eleganti colonne di marmo. Sul lato settentrionale del chiostro si conservano ancora elementi significativi dell'antica ed elegante aula capitolare del 300 con porte e finestre di inconfondibile stile chiaramontano, simili a quelle del monastero di Santo Spirito di Agrigento.


Ernesto Basile - Filippo Re Grillo
Villa del cav. Urso, progetto di E. Basile In questa stessa piazza, sulle rovine dell'ormai diruta chiesa della SS. Trinità, la municipalità licatese deliberò di costruire la torre dell'orologio civico, incaricando della progettazione l'arch. Ernesto Basile, il padre del liberty siciliano, che consegnò i disegni il 16 gennaio del 1904. La torre civica di Licata che, tra le opere del Basile, rimane la più significativa, anche se risulta essere quella meno nota, non è meno intensa ed originale di quelle delle case aristocratiche disegnate dall'architetto palermitano. Rimasta al grezzo per moltissimi anni, solo tra il 1933 e il 1942 poté assumere la veste Villa del cav. Urso, progetto di E. Basileideata dal suo progettista. Il tema della torre di Licata è quello del pilastro enucleato che sorge in alto come una merlatura, risultano fusi in modo perfetto e sono utilizzati per ottenere il massimo di valore simbolico attraverso la continua vibrazione chiaroscurale. La gabbia in ferro battuto, creata per reggere le antiche campane, fuse da Francesco Pansera di Palermo nel 1777 e provenienti dall'orologio del seicentesco Quartiere spagnolo, deriva in qualche modo, come Villa del cav. Urso, progetto di E. Basiledicono gli esperti, dalle effiorescenze metalliche di certe membrature di carretti siciliani. Lo stesso Basile nel 1907 progettò la nuova sede della Congregazione di Carità da costruirsi accanto alla torre civica dell'orologio, destinata poi a Palazzo Municipale, dove il genio dell'artista riuscì sapientemente ad innestare le tematiche dell'art nouveau con i caratteri neoclassici e gotici, tipicamente siciliani mutuati dal padre Giovambattista. Anche qui il Basile lavora per sovrapposizione di pannelli in negativo e in positivo, introducendo ritmi sovrapposti alla intelaiatura generale dell'ordine. Il Municipio, di cui la villa Fassini è la versione distillata e purificata, presenta un prospetto impostato su due ordini che nei suoi elementi decorativi richiama i palazzi rinascimentali fiorentini. Al Basile si deve anche il disegno dei due cancelletti in ferro battuto, oggi, asportati, delle porte del lato principale del prospetto, nonché delle raggiere in ferro battuto dei timpani delle porte. All'interno del Municipio si possono ammirare alcune opere d'arte. Nell'aula consiliare campeggiano le due principali: un trittico su tavola (cm. 270x175) della 1a metà del sec. XV, proveniente dal convento del Carmine, opera di un tal maestro di San Martino di scuola antonelliana, con la Madonna e il Bambino, i SS. Caterina e Giovanni, Alberto e Marta e nel riquadro centrale i committenti in adorazione e lo stemma della ricca famiglia Caro; un grande dipinto su tela di Antonino Licata (Licata 1823-Napoli 1899) del 1872 con I Vespri Siciliani. Nel corridoio sono stati murati due grandi clipei in pietra grigia riproducenti a bassorilievo le effigie dei due fondatori di Gela, Entimo di Creta ed Antifemo di Rodi, lo stemma della ricca famiglia Serrovira con le tre conchiglie e una tabella epigrafica in marmo che stava su una delle porte urbiche della città. Nell'ufficio del sindaco sono custodite le due mazze d'argento della corte giuratale di Licata, eseguite nel 1735 dal maestro argentiere Pasquale Cipolla di Palermo, garantite dall'imprimatur A.G. che corrispondono al nome di Antonio Gulotta, allora console dei maestri argentieri di Palermo. Nell'ufficio del dirigente degli affari generale è custodito il dipinto su tela (cm. 293x182) di Fra Felice da Sambuca (Sambuca di Sicilia 1733-Palermo 1805) con La Madonna col Bambino e Santi Cappuccini. Nell'ufficio del Segretario Generale si ammira invece un bellissimo dipinto su tela (cm. 330x230), attribuito a Giovanni Portaluni (Licata 1593-?) raffigurante Il patrocinio della SS. Trinità e l'elemosina dei Rossi. La sua esecuzione è ascrivibile intorno al 1630 Proviene dalla chiesa della SS. Trinità.

Al medesimo anno appartiene il progetto di ristrutturazione della villa del cav. Urso, edificata sul terrazzo di Monserrato nella 2a metà dell'Ottocento. Qui il Basile modificò quasi completamente il preesistente fabbricato dalla solida forma di un prisma, alleggerendone la massa corporea, dinamicizzando la vecchia struttura con l'aggiunta di una torre lanterna angolare, seguendo il modello della distrutta palazzina Deliella di Palermo e del palazzo Manganelli di Catania che attestano un chiaro ritorno ai palazzi toscani per l'altissima qualità dei dettagli e per il felice contrasto di tessiture e colori naturali dovuti all'uso della pietra che forma ghiere di conci sopra le porte e finestre creando raggiere vibranti che incrinano la compattezza della fronte meridionale, interrotta, tra l'altro, da un loggiato colonnato e vetrato. Molto bella è la torre della villa, oggi in condizioni di assoluto abbandono, e forse costituisce l'elemento più originale che in questa costruzione evidenzia il genio creatore del Basile al quale viene attribuito anche il disegno del meraviglioso cancello in ferro battuto che aderisce strettamente allo spirito e alle tematiche del liberty fiorito.

Palazzo VerderameI modelli del Basile furono localmente seguiti da Antonino Re (Licata 1896-1980) che nell'area portuale progettò nel 1926 la costruzione del palazzina liberty, oggi completamente manomessa, per la famiglia Todaro e da Filippo Re Grillo (Licata 1869-1930) che produsse una serie di ben disegnate architetture che hanno dato degno decoro alla veste urbana di Licata. Tra queste, meritano di essere citate la villa di campagna di Angelo Sapio Rumbolo (1902), costruita Palazzo di Roberto Verderamesulla cresta di un colle vicino a Monserrato, con espliciti riferimenti all'architettura fiorentina del 400-500, la villa di Ernesto Verderame (1906), detta "Villa Luisa", oggi Bosa, edificata suPalazzo di Roberto Verderame – disegno di F. re Grillol terrazzo di Contesole, che richiama i modelli della casa con torre-pilastro angolare del Basile, la ristrutturazione Palazzo di Roberto Verderame – disegno di F. re Grillodel palazzo dell'on. Arturo Verderame (1903), la costruzione del palazzo del cav. Roberto Verderame (1907), oggi Verderame-Navarra, forse l'architettura più prestigiosa tra quelle realizzate nel cuore cittadino, entrambi su piazza Progresso, la villa Re Grillo (1902) sul fianco meridionale di via Santa Maria, con vista panoramica della città e di tutto il suo litorale di levante e sud, la Villino Re Grillo in una cartolina dei primi del Novecentopalazzina Re Grillo in piazza Elena (1908), la casa Biondi sulla stessa piazza (1923-28), la villa del cav. Roberto Verderame sul costone nord-orientale di Monte Sole (1910). A lui si deve anche la costruzione del teatro "Re", ultimato nel 1921 ed inaugurato nel 1922, oggi completamente restaurato dal Comune che ha voluto che si recuperassero le decorazioni liberty delle spallette dei palchi.



F. Re Grillo, Teatro Re - La scenaF. Re Grillo - Teatro Re - La caveaPalazzo Re Grillo, progetto F. Re Grillo
Villino Re Grillo – disegno di F. Re GrilloVillino Re Grillo – manomesso da interventi abusiviPalazzo Arturo Verderame- Una sala con arazzi e soffitto a cassettoni


Foto di Licata
Piazza Progresso Torre di Gaffe Contrada Colonne


Marianello Porto Mollarella


Porto peschereccio Pisciotto Faro
Veduta area porto Cantiere navale Veduta di Licata

Darsena di Marianello Corso Argentina


Gemellaggi
Alfredo Quignones Confesso che quando il sindaco Biondi mi assegnò la delega ai “gemellaggi” restai a dire poco perplesso; conoscevo questa attività solo per i cartelli che vedevo all’ingresso di grandi e piccoli centri della nostra Sicilia e per i tanti articoli di quotidiani e riviste, accomunati sempre da uno stesso dato: il ritorno della delegazione comunale da questo o da quell’angolo del mondo. Quale spreco di denaro pubblico – pensavo, con buona dose di ignoranza e presunzione !

Certo è che, ai primi di luglio, a meno di un mese cioè dall’insediamento della giunta, mi ritrovai, insieme all’assessore Cellura, a costituire una famigerata “delegazione comunale”: il Comune di Licata era stato infatti già da tempo invitato a sottoscrivere un “Patto di Amicizia” con Cestas, cittadina francese a meno di venti chilometri da Bordeaux che, in quei giorni, celebrava il ventennale del proprio gemellaggio con Reinheim, città tedesca a sua volta gemellata con Licata. Mentre partivo, la confusione che questi incroci italo-franco-tedeschi generavano in me si associava alla spiacevole sensazione di stare fondamentalmente perdendo il mio tempo!

All’aeroporto di Bordeaux era pronto ad aspettarci un distinto signore francese, facente parte del comitato di gemellaggio di Cestas, che con grande cortesia ed entusiasmo ci fece salire in auto, accompagnandoci subito nella sala ove era stata organizzato il benvenuto alle delegazioni provenienti da tutta Europa: in quella sorta di Babele, in cui per qualche giorno si sarebbe trasformata una sperduta cittadina francese, si sarebbero infatti riuniti Tedeschi, Italiani e Polacchi, tutti accomunati da una intricata, e per noi, in quel momento, poco comprensibile, ragnatela di gemellaggi incrociati.

Stemma di Reinheim Mentre con aria sperduta ci aggiravamo tra la folla negli ambienti di quello che avremmo scoperto esser un efficiente centro polivalente comunale, dotato di sala riunioni, cinema e biblioteca, notavamo un generale clima di frenesia ed euforica attesa, culminata con l’arrivo dei pullman tedeschi e l’incontro, davvero festoso e ricco di gioia, di tanti amici di Reinheim e di Cestas. Fu in quel momento che iniziai a realizzare che forse il gemellaggio non è solo viaggi pagati per illustri raccomandati, ma qualcosa di molto più alto e coinvolgente: vedere signori di mezza età cercare tra tanti volti quelli degli amici più cari, le espressioni di felicità di arzilli settantenni, l’incontro, semplice e spontaneo come può esserlo a quella età, di ragazzini di diversa nazionalità, accomunati ormai da una cultura ed una coscienza universale, mi convinse che era quella la vera essenza del gemellaggio, e che era giusto e doveroso impegnarsi affinché la cultura più autentica di questa attività prendesse piede anche a Licata.

Sindaco di Reinheim: Karl HartmannQuei giorni passarono in fretta, con me e Nino Cellura ospiti di due diverse famiglie, perché è proprio l’ospitalità in famiglia il cuore pulsante del gemellaggio. Passarono in fretta tra cerimonie ufficiali (si celebrava il ventennale del gemellaggio tra Cestas e Reinheim e si sottoscriveva il patto di amicizia di Licata con la cittadina francese), ed escursioni in località meravigliose, tra feste popolari e pic-nic per centinaia di persone, tra incontri ufficiali e visite ad impianti comunali (tanto ordinati ed efficienti da creare in noi un sottile senso di mortificazione!). Non eravamo soli, avendoci raggiunto gli amici licatesi dell’associazione pro-gemellagio, fino ad oggi il vero motore di questo legame. E con loro programmavamo già le attività che da lì a poco si sarebbero succedute: ad agosto vennero a trovarci amici francesi e tedeschi (con in testa il Sindaco di Reinheim Karl Hartman, innamoratissimo della nostra città). A dicembre siamo stati ospiti in Germania, in occasione della locale fiera di Natale, portando con noi i prodotti della nostra terra, apprezzatissimi per colori, i sapori e la qualità; il gemellaggio infatti, pur avendo una base sociale di rapporto tra cittadini delle varie espressioni europee, diventa occasione di scambi commerciali, di promozione turistica, anche solo di conoscenza ed arricchimento personale che nasce dal confrontarsi direttamente con realtà diverse dalla nostra e – ahimè – certamente più avanti in termini di senso civico e coscienza del bene comune.
ReinheimMunicipio di ReinheimReinheim
Ed il nuovo anno si presenta ricco di eventi: dal 2 all’8 di aprile una delegazione di diciotto sindaci della provincia di Damstadt (la stessa di cui fa parte Reinheim), con i relativi accompagnatori, farà base a Licata per una settimana: dalla nostra città partiranno alla scoperta della Sicilia, seguendo una organizzazione che l’Amministrazione Comunale sta direttamente curando. Subito dopo, durante la Settimana Santa, e precisamente dall’8 al 13 aprile, una delegazione di dieci amici di Cestas sarà nostra ospite per controfirmare il Patto di Amicizia tra le nostre due Città.

Si tratta di importanti occasioni in cui mostrare il meglio della nostra Licata, ed in cui un ruolo fondamentale svolgerà sicuramente il Comitato di gemellaggio, approvato già da tempo da apposita delibera del Consiglio Comunale, e che è ferma intenzione dell’Amministrazione attivare al più presto.

Ma un ruolo ancora più importante sarà svolto da ogni Licatese, con il proprio aiuto a rendere più confortevole, bella ed accogliente la nostra città, sì da fare sentire gli amici Francesi e Tedeschi davvero a casa propria, come loro stessi riescono a fare ogni qual volta uno chiunque di noi trascorre alcuni giorni a Cestas o a Reinheim.
 ReinheimLa fine della guerra a Reinheim e nelle città gemellate, Reinheim 2005, pp. 126 + foto
Alfredo Quignones
Assessore ai Gemellaggi del Comune di Licata

Links: Comune di Licata - Comune di Reinheim (Germania)


I castelli
Anonimo - Fortezza di Licata (fine sec. XVI)Le vicende più remote della città di Licata si identificano, sin dall'inizio, con quelle del regio castello a mare San Giacomo, assurdamente distrutto, tra il 1870 e il 1929, per far posto al nuovo porto commerciale. Oggi della sua possente difesa, dei suoi bastioni, del suo corpo di guardia e del suo sperone, non resta altro che qualche umile elemento murario incluso tra i magazzini edificati sulla sua area verso la fine dell'ottocento. Della sua grande mole ci si può fare un'idea attraverso i disegni della 2a metà del settecento del vedutista francese J.L. Desprez o qualche foto dell'inizio dello scorso secolo.

G.Morelli - Castello di Licata (1677)Posto al terzo posto durante il regno di Corradino di Svevia, fu sempre governato da un regio castellano, scelto tra le più prestigiose famiglie nobili siciliane, e difeso permanentemente da una guarnigione e da numerosi pezzi di artiglieria. Tra il gennaio del 1379 e il 1400 ospitò la regina Maria, figlia di Federico d'Aragona, e il suo consorte aragonese, il re Martino. Assalito ed espugnato l'11 luglio del 1553 dal corsaro Dragut, venne saccheggiato, distrutto e la sua guarnigione, compreso il castellano, passata per le armi. In questa fortezza sino al 1848 fu sempre mantenuto un presidio di veterani. Dopo la restaurazione borbonica del 1849 i suoi superstiti cannoni furono parte trasferiti in altre fortezze parte inabissati in mare.

La difesa della città fin dal 1360 venne affidata anche al Castel Nuovo, edificato sul colle Musardo a guardia del regio caricatore e della muraglia di ponente. Assediato e distrutto nel 1553 dai turchi, rimase per lungo tempo abbandonato. Nel 1604, acquistato dalla municipalità licatese dagli eredi della famiglia Grugno alla quale era stato concesso in perpetuo, fu trasformato in Quartiere per i soldati di fanteria spagnola della Comarca, cui Licata era a capo. Terminate le incursioni barbaresche il baluardo venne smilitarizzato ed abbandonato. Nel 1897, poiché le sue fabbriche erano quasi completamente crollate, il Comune ne decretò la totale distruzione, unitamente alla torre dell'orologio civico che vi era stato collocato nel 1863. Le uniche immagini che restano sono alcune vedute del settecento.
Castello di Licata, 1677 - lo sperone della fortezza ospitava un vecchio castelloF. Nigro - Assonometria del castello di Licata (1640)F. Nigro - Pianta del castello di Licata (1640)
Castel S. AngeloL'unico castello superstite e di recente restaurato e riportato al suo originario splendore è il Forte Sant'Angelo. Ha schema planimetrico poligonale irregolare. Fu edificato, a difesa delle coste e della città di Licata, sull'omonimo colle nel 1615 da Hernando de Petigno, comandante generale della cavalleria leggera del regno di Sicilia e governatore della piazza militare di Siracusa, che incluse nella cinta bastionata e merlata una preesistente torre di avviso che in quel luogo era stata costruita nel 1585 dall'architetto regio Camillo Camilliani. Costituisce un raro esempio delle fortezze barocche sorte in Sicilia nel XVII secolo. Il forte è accessibile dalla strada comunale S. Antonino. In alcune sale del piano terra della corte interna è allestito un piccolo museo etno-antropologico aperto al pubblico con accesso gratuito. Lo stato di conservazione è buono.
Castel S. Angelo - veduta dalla parte bastionata (foto. A.Carità)Forte S. AngeloLa Torre del Castel S. Angelo - 1° metà sec. XVI, già in località



I luoghi archeologici
Grangela
GrangelaLa Grangela. E' una rara ed interessante opera idraulica di età sicuramente preellenica ad un centinaio di metri dal Municipio che si apre in via Santa Maria, oggi facilmente visitabile dopo i recenti restauri. Si tratta di un pozzo del tipo "filtrante" che serviva all'approvvigionamento della città antica. La cavità, però, non ha la comune forma cilindrica dei pozzi per la raccolta delle acque, ma di un rettangolo irregolare percorso da tre rampi di scale destrorse che girano attorno al pilastro centrale finestrato in tre punti. La struttura verticale è profonda circa 12 metri dal piano stradale e continua poi in un vano che penetra nella roccia per circa 7 metri largo e alto due metri. Ai lati di questo vano si trovano quattro cunicoli che giungono alle falde acquifere per trasferire nel vano centrale di raccolta l'acqua. Sicuramente nei periodi di piena l'acqua veniva attinta dall'alto, quando invece il pozzo entrava nei periodi di magra gli antichi licatesi vi attingevano l'acqua scendendo dalle scale sino ad arrivare alla vasca di raccolta.

Stagnone Pontillo
Lo Stagnone Pontillo è una eccezionale architettura ipogeica, ricavata dalla dura roccia, che mostra singolarità sorprendenti. Si trova nella contrada omonima, sulla strada panoramica provinciale Licata-Mollarella, a circa tre km. dall'Ospedale Civile San Giacomo d'Altopasso. Si presenta con un megaron con tre grosse colonne rastremate in alto che sorreggono la volta spessa più di 2 metri e alta 4,5 metri. Il vano maggiore misura metri 16x9, mentre il vestibolo metri 13x5. Al contatto con il soffitto una cornice nella quale sono incavate delle nicchiette, probabile alloggio di lucerne. Le ipotesi sono diverse: si tratta di una tomba monumentale di un principe della tarda età del bronzo o di un luogo di culto dello stesso periodo o di una dimora principesca appartenente ad un antico centro abitativo indigeno. Che possa essersi trattato di un luogo di culto o di una dimora è avvalorato dalla presenza di tre grandi fori sul soffitto che servivano come prese d'aria. E' stato certamente riutilizzato dai Greci, assuefatti agli usi locali, anche per le cerimonie liturgiche legate al culto delle divinità ctonie. Sull'intonaco sono stati scoperti vario graffiti in lingua fenicia, iberica e libica, forse firme di visitatori del IV-III sec. a.C.

Castello di Falaride - mura di difesa del lato nord
Il frourion di Falaride, tiranno di Agrigento, con la sua possente cinta megalitica fortificata si trova sul monte Sole, la vetta più alta (m. 171 s.l.m.) del monte di Licata. Venne edificato dal tiranno akragantino nella prima metà del VI sec. a.C. per assicurarsi il controllo del territorio di Licata e per frenare l'espansionismo di Gela. Qui, in località Cipriano, nelle proprietà agricole Cammarata, Re ed Orlando raggiungibili dalla Strada provinciale Licata-Mollarella dove si intersica con la comunale Contesole, si trovano cospicui avanzi murari, ascrivibili ad un'opera arcaica militare che domina un'ampia vista: a sud controlla i ripari marittimi naturali del litorale licatese, ad est la foce del Salso e il territorio attorno al monte Sant'Angelo, a nord l'ampia piana di Licata e parte del corso del Salso, ad ovest il profondo porto naturale della Mollarella. La difesa del lato meridionale è affidata alle rocce che cadono a strapiombo sulla campagna sottostante. Il fianco di levante si integra, a tratti, con mura ad agere. Un terrapieno ed un muro di sostegno, ben conservato, a secco e del tipo megalitico proteggono tutto il lato settentrionale e parte del lato lato occidentale, dove il suo percorso, di tanto in tanto, si interrompe per integrarsi con la difesa dela roccia. Di questo muro, dallo spessore di circa m. 2,50, che si snoda per alcune centinaia di metri, è visibile solo il parametro esterno in grosse pietre irregolarmente squadrate. Ad oriente alcuni vani della cittadella protetti da un alto muro scavato nella roccia orlato alla sommità da feritoie, un pozzo imbutiforme ed una scala che porta al camino di ronda. Nel vasto piano del castello si trovano impianti vinari a doppia vasca, impianti idrici e qualche postierla per il corpo di guardia.

Mollarella
Il porto della Mollarella. E' un profondo approdo naturale chiuso da due promontori, il Pizzo Caduta e la Rocca Mollachella, sin dai tempi più remoti frequentatissimo emporio commerciale. Due moli, ancora oggi parzialmente esistenti, riparavano le navi dalle correnti di ponente e di levante. Questo porto, sicuramente riferito ad un centro abitato che si cerca ancora sotto il monte Poliscia (dal greco polis=città), fu approdo prima dei Fenici che sul promontorio della Rocca Mollachella realizzarono una fossa a combustione che aveva la funzione di faro primordiale (fumo e fuoco servivano a segnalarne l'esistenza ai naviganti) e dopo dei coloni greci delle varie epoche che crearono sulla spiaggia della Mollacha un santuario per le divinità ctonie, Demetra e Kore e una necropoli ad occidente ai piedi della Rocca Mollachella. Davanti a questa spiaggia nel 256 a.C. si combattè la prima grande battaglia navale della storia tra Romani e Punici e su questa spiaggia il 10 luglio 1943 sbarcarono i fanti di marina degli USA. Oggi è una delle stupende spiagge di Licata, da cui dista circa 6 km. Si raggiunge o attraverso la strada provinciale Licata-Montesole-Mollarella o attraverso la strada provinciale Licata- Torre di Gaffe.

La città di Poggio Marcato d'Agnone. E' un'altura, immediatamente a nord della contrada Casaliscchio. Nel 1983 è stato scoperto un insediamento databile della 2a metà del IV sec. a.C. in posizione dominante sulla piana sottostante. E' racchiuso da una vasta cinta muraria che si estende per circa 3 km. Nell'area fortificata è stata anche scoperta una strada, ottenuta dal taglio della roccia, ancora con i segni delle ruote, nonché un recinto quasi semicircolare che potrebbe far pensare ad una agorà a anche ad un themenos. La ceramica rinvenuta è di uso comune. In una abitazione è stata anche scoperta una piccola vasca da bagno incavata nella roccia. La datazione è stata facilitata dalla scoperta nel perimetro della città di monete di Agatocle, tiranno di Siracusa.

Tesoro della Signora Tesoro della SignoraTesoro della SignoraTesoro della SignoraTesoro della Signora Tesoro della Signora
La città di Monte Sant' Angelo. Varie campagne di scavo, seppur episodiche e discontinue, hanno permesso di portare alla luce parte dell'abitato della antica città lungo la zona terminale della via Santa Maria, dove sono state scoperte diverse abitazioni, disposte su terrazzamenti, alcune ancora con i muri divisori e le soglie, appartenute a persone certamente facoltose da come si può evincere dalla ricchezza degli affreschi e degli stucchi dipinti recuperati. Altre abitazioni sono state scoperte a nord sotto le mura del castel Sant'Angelo e a mezzogiorno, ad alcune centinaia di metri del seicentesco maniero, dove è stato scoperto un larario riccamente decorato da stucchi e un prezioso tesoretto, detto della "Signora", composto di collane, monili, anelli con castone, tutti in oro e finemente lavorati, e circa 400 monete d'argento. Le abitazioni scoperte sono databili dal IV secolo in poi. A sud ovest del castello è stato portato alla luce un tratto della cinta fortificata dell'antica città greca. Purtroppo questi scavi, lasciati in abbandono dalla Soprintendenza ai BB.CC. di Agrigento, non sono visitabili.

Le collezioni archeologiche sono distribuite in 6 sale con criterio topografico e cronologico all'interno di esse. E' possibile seguire un percorso, senza aiuto di guida, grazie ai pannelli didascalici e alle indicazioni poste sulle vetrine e sui principali reperti.


La prima sala ospita i reperti della Montagna, identificata con lo storico Eknomos: Serra Mollarella, Poliscia, Rocca San Nicola, Pizzo Caduta, Contrada Colonne, Monte Sant'Angelo, Cotturo. Dalla Mollarella, sede di un thesmophorion, un santuario all'aperto per i riti ctoni, riservati a Demetra e Kore, proviene una grande quantità di materiale votivo, sepolto nella sabbia o raccolto in una stipite, costituito da vasetti tardo corinzi, statuine figurate di divinità o di offerenti, ex voto, corredi di sepolture greco-arcaiche. A Pizzo Caduta, un sito abitato dal neolitico all'età greco-arcaica, appartengono i tantissimi strumenti in selce ed in ossidiana, gli utensili di tradizione paleolitica, i microliti in selce di tradizione mesolitica, e molta ceramica della facies di Stentinello. In contrada Colonne è stata scoperta ceramica del tipo buccheroide e della facies di Serraferlicchio, dipinta a segmenti scuri divergenti e a banderuole su fondo rosso lucido e rosso violaceo. Si tratta di olle e attingiti in genere. Da Monte Sant'Angelo proviene la statua marmorea acefala della 2a metà del V sec. a.C., forse di Demetra (alt. cm. 86,5), stante sulla gamba destra. La figura indossa un peplo.

Statua di DemetraIscrizione Greca Keibel
Notevole è anche la coroplastica, rappresentata da statuine fittili del tipo tanagrine, lucerne, e ceramiche d'uso domestico. Molto interessanti sono anche le iscrizioni: una su pietra, scoperta nello scavo di via Santa Maria, con incisi 13 nomi di personaggi maschili e una su lamina di piombo (defixio), proveniente dalla area delle tombe ad epythimbion di contrada Sant'Antonino del 2° secolo a.C. Molto rara la striscia con dipinti 124 caratteri fenici su 23 righe, forse una formula magica o una maledizione rituale dell'VIII-VII sec. a.C. Ma, il reperto epigrafico più importante e che vanta una ricchissima bibliografia è l'iscrizione greca, meglio conosciuta come Keibel 256, rinvenuta nel 1660 presso il castel Sant'Angelo, su tavola di pietra dura grigiastra di cm. 0,80x0,30, integra di 47 linee, che riporta in idioma greco arcaico un decreto del Senato di Gela, dove si riferisce che sotto il gherapolo Aristione, figlio di Istigo, figlio di Ninfodoro, nell'anno Sosio, il giorno 30 del mese Carnio, il prefetto Ippocle, figlio di Ippocle, corona d'ulivo Eraclide, figlio di Zopiro, istruttore dei lottatori e degli esercizi del Gymnasium per la diligenza e l'attenzione dimostrata nell'istruire la gioventù geloa. Inoltre Ippocle dispone che, assieme al ginnasiarca, vengano coronati undici atleti distintisi nella frequenta del Gymnasium e che take decreto venga posto su una colonna e che questa venga posta in un pubblico luogo della città. Dalla necropoli ellenistica, con sepolture a cassa o alla cappuccina, di piano Cotturo provengono gli unguentari acromi, le patere, le coppette e altri oggetti di modesto valore. Dalle abitazioni scoperte lungo la via Santa Maria, provengono invece i preziosi ed eleganti stucchi decorativi.


La seconda sala riunisce i reperti archeologici proveneinti dal Casalicchio, una località agricola a circa 6 km. a nord-est di Licata. Si tratta di ceramica neolitica impressa della facies di Stentinello e di Diana. Numerosi sono gli utensili in selce (microliti di epoca mesolitica), utensili litici e di ossidiana, anfore ed attingitoi di epoca castellucciana. Le deposizioni votive (terracotte figurate e di offerenti dal VI al IV sec. a.C.) e le ceramiche tardo corinzie, attiche a figure nere e rosse, i vasi di produzione locale e i tanti pani di bronzo provengono dal santuario ctonio di Demetra e Kore, portato alla luce nella zona.


Lekytos (vaso funerario)Lekytos (vaso funerario)
La terza sala custodisce le ceramiche del IV-III sec. a.C. provenienti dalla città fortificata di Poggio Marcato d'Agnone e dalla necropoli greca del VI-IV sec. a.C. di Portella di Corso (una sito a 12 km. a nord-est di Licata), solo in parte scavata, con sepolture terragne, a fossa e alla cappuccina, che ha dato interessanti corredi funebri con ceramiche a figure nere del VI sec. e a figure rosse del V sec. a.C.



Tombe a grotticella artificialeLa quarta sala espone i reperti scoperti nell'insediamento capannicolo dell'età del bronzo di Canticaglione, parzialmente indagato dagli studiosi, limite orientale del territorio di Licata con quello di Bufera. Si tratta di reperti litici (mazze, asce, lame di selce, macinelli) e di ceramica a bande nere su fondo rosso della facies di Castelluccio. Sempre in questa sala fanno bella mostra i reperti di uso domestico del periodo greco ellenistico, provenienti da contrada Solito, Mintina e Agrabona. Da Monte Petrulla, presso lo Stretto, provengono i reperti dell'età del bronzo recuperati presso una vasta necropoli a grotticella artificiale: utensili litici e vasi della cultura castellucciana.



Vaso del maestro di MucufulaNella quinta sala sono esposti i reperti dello scavo fatto a Madre Chiesa, contrada a 10 km. ad ovest da Licata e a 3 km. dal mare di Gaffe, dove è stato portato alla luce un agglomerato di capanne del Medio Bronzo della cultura di Tapsos. La sesta sala ospita i reperti del villaggio, della necropoli e del santuario della cultura di Castellucio del Bronzo Antico, scoperto alla Muculufa, un'altura sul Salso a 20 km. dalla foce. Sono fruttiere su basso piede e brocche con colletto cilindrico, fruttiere su alto piede ed attingitoi. Nell'atrio del chiostro della Badia sono custoditi numerosi elementi architettonici dell'abitato greco di Monte Sant'Angelo (capitelli, colonne, frammenti di trabeazione, macine in pietra lavicVirtù Cardinalia), vari sarcofagi provenienti dal convento del Carmine e due interessanti gruppi statuari di ottima fattura e di grande pregio artistico: la Madonna del Soccorso del 1470, della scuola del Gagini, alta cm. 110 e posta su un basamento ottagonale. Proviene dall'aula consiliare del Municipio, ma appartiene alla chiesa del Soccorso dei PP. Agostiniani non più esistente e le quattro Virtù Cardinali (alt. cm. 116) in marmo bianco del sec. XV, opera certa del lombardo Pietro di Bonitate o Boutade, attivo in Sicilia dal 1466 al 1501. Provengono dal convento del Carmine ed appartengo alla struttura di un maestoso sarcofago.



La civilità Rupestre
Madonna col  bambino (affresco sec. XIII) Esiste anche una Licata rupestre, certamente non come la più famosa Matera, ma una città dove una parte dei suoi abitanti, in generale contadini e allevatori, abitava all'interno di grotte e spelonche naturali della zona alta del Cotturo, di Piano Madre e di San Calogero, probabilmente preesistenze di età preistorica. Questi sassi oggi esistono ancora, ma risultano incluse in successive abitazioni che in quelle zone vennero edificate a partire dal 1600. Restano invece, sia sul colle Sant'Angelo che sul Monte Giannotta alcune chiesette rupestri che attestano un vasto diffondersi, anche a Licata, di gruppi eremitici in età prenormanna da parte di monaci africani prima, sfuggiti alle persecuzioni vandaliche, e di gruppi di monaci brasiliani doppo, fuggiti da Costantinopoli a seguito della lotta iconoclastica. Il più importante di questi impianti chiesastici rupestri è quello di San Calogero, appena sotto la chiesa di Pompei, intitolato alla Santa Croce. Fu scavato nella roccia dai monaci calogerini che, oltre che a Licata, si erano stanziati a Naro, Agrigento e a Sciacca. Nel 700 il santuario rupestre venne incluso in una chiesetta, oggi non più esistente, che, memori della presenza in quel luogo dei monaci calogerini, fu intitolata a San Calogero. Altri impianti chiesastici rupestri, di piccole dimensioni, sono stati scoperti nel predio Cantavenera, sulla dorsale nord della Montagna a tre km. da Licata in contrada Giannotta e nel predio Brancato, in contrada Stagnone, vicino all'odierno ospedale civile San Giacomo d'Altopasso. Il primo, una struttura ipogeica bicamerale, è intitolato a San Giovanni e conserva ancora nella zona liturgica parte di un affresco bizantineggiante con la Sacra Famiglia. L'altro, invece, intitolato a San Cataldo, tracce di un affresco con il Crocefisso. Un'altra chiesuola rupestre per pochi eremiti, intitolata a San Nicola, sorgeva sull'omonimo isolotto di fronte alla della Mollacha.


Le feste religiose

Religiosità, folklore e credenze popolari. Le principali festività cadono nel pieno della primavera, quasi a significare il risveglio della natura e quindi della vita, strettamente connesse alla religiosità. Ad aprire le feste di primavera è quella di San Giuseppe, organizzata dalla corporazione dei falegnami. Si celebra il 19 marzo. Viene portato in processione l'artistico gruppo scultoreo di san Giuseppe con il Bambino Gesù, opera dello scultore licatese Ignazio Spina, custodita nella chiesa Madre. Momento atteso di questa ricorrenza è la cosiddetta "cena di San Giuseppe" organizzata presso la casa di un falegname alla quale vengono invitati due bambini vestiti da S. Giuseppe e la Madonna.

AddolorataAddolorataAddolorata

Ma le festività più attese sono quelle legate ai riti della Settimana Santa e di Pasqua e quella del Santo Patrono, Sant'Angelo Martire Carmelitano. Ad aprire i riti della Passione è la festa dell'Addolorata di Sant'Agostino. Cade il venerdì precedente a quello della crocifissione. E' un comune giorno lavorativo, ma la gente partecipa numerosissima alla processione dell'artistica statua lignea dell'Addolorata che parte della omonima chiesa, presso il mare, e dopo aver percorso le vie principali viene portata nella chiesa Madre dove sosta sino alla sera della domenica della palme, quando, nuovamente in processione, viene portata lentamente, al cadenzare del rullo dei tamburi e di meste lamentazioni che rappresentano il dolore della Vergine, nella sua chiesa. Questo culto era già vivo a Licata nella 2a metà del 700, ma la processione risale alla 2a metà dell'800. Da allora è tradizione vedere dietro la bara della Madonna tante donne scalze in segno di penitenza e di ringraziamento per una grazia richiesta o per una grazie ricevuta. "U viaggiu" è detto in dialetto. E' la festa per eccellenza degli uomini di mare, dei pescatori, naviganti e lavoratori del porto. L'arrivo della statua dell'Addolorata a Licata è davvero singolare ed avvolto dalla leggenda. Nella 2a metà, un naufragio spinse sulla scogliera del Caricatore un veliero. I naufraghi vennero soccorsi dai facchini del Caricatore che misero anche in salso il carico della nave. Nella stiva trovarono anche una bellissima statua dell'Addolorata che in segno di ringraziamento portarono nella vicina chiesa di Santa Margherita, officiata dai PP. Agostiniani. Da quel momento la Madonna rimase a Licata e viene con amore e fede venerata ed annualmente festeggiata. Era tradizione che durante la processione la statua si fermasse per ricevere pubblicamente oggetti d'oro e banconote (lire o dollari) in segno di ringraziamento. Questo tesoretto veniva utilizzato per sostenere la festa e restauri della chiesa.

AddolorataAddolorataAddolorata

Il Giovedì Santo, nonostante precede il giorno della Passione di Cristo, a Licata c'è un clima festoso. I principali corsi sono particolarmente illuminati ed tutto un via vai di gente che va a visitare i sepolcri allestiti nelle chiese e il Calvario, già pronto per i riti del giorno dopo. I sepolcri sono addobbati secondo una tradizione spagnola in modo assai ridondante. Particolari elementi decorativi sono anche i curuneddi costituiti da piatti di semi germogliati con i quali si suole attestare il valore della pratica intesa a propiziare la rigenerazione del ciclo vegetale. Si ottengono con semi di grano, lenticchie, orzo, ceci, posti su uno strato di cotone imbevuto d'acqua, sistemato in un piatto che viene tenuto per tutto il tempo in un luogo buio per far si che i semi, una volta germogliati, restino di un giallo pallido. Suggestiva è la processione penitenziale dei confrati della Misericordia, con saio bianco, al Calvario. Molto seguito, in Chiesa Madre, è il rito della lavanda dei piedi officiato dal parroco arciprete.

Cristo flagellatoCristo flagellato

Attesa dai fedeli e dai Licatesi tutti la processione del Cristo flagellato che, a seguito del suo ripristino, ha senza dubbio arricchito i riti della Settimana Santa. Per antica consuetudine a Licata, nella giornata del Giovedì Santo, che già ai primi del 600 era la festa più importante della settimana di passione, si celebrava la processione della “Casazza”, così detta sicuramente perché i misteri, rappresentati da varie macchine processionali, si celebravano dopo la processione all’interno di qualche grande magazzino, appunto una “Casazza”. All’epoca, infatti, il Venerdì Santo si svolgeva fuori dalle mura urbiche, presso il calvario, nel piano di S. Croce, odierna piazza Linares, e si riduceva solo nella “Scinnuta” del Cristo dalla Croce e a differenza di questa processione,non ci sono documenti che attestino che fosse una festa seguita da tutta la cittadinanza.

La processione della “Casazza”, organizzata dalla Confraternita della Carità, in collaborazione con la Confraternita del SS. Crocefisso della Chiesa Madre, consisteva nella processione, già nella giornata del mercoledì santo, del simulacro del Cristo alla colonna, che dopo un lungo andare per le antiche vie e dopo aver raggiunto la chiesa del Carmine, rientrava nella città murata e veniva esposto nell’artistica cappella dell’Immacolata della Chiesa di San Francesco. La sera del giovedì, il Cristo, preceduto da altri misteri veniva ricondotto nella chiesa della Carità, dopo che veniva rappresentata la passione di Gesù.

Troviamo notizie di questa importante festività già in un documento del 1624 e a seguire nel 1629 dove si parla di versamenti di contributi per la realizzazione della processione e quando governatore della Confraternita del SS. Crocefisso era un tal don Angelo Niesi. In un altro documento del 1641 rileviamo che don Andrea Labiso, tesoriere della città di Licata, versava un contributo di 4 onze a don Baldassare di Caro deputato della processione della Casazza del Giovedì Santo e si disponeva nel contempo il pagamento ad Michelangelo Falcuni, pittore, per il restauro dei Misteri.. Altra disposizione di pagamento di un contributo da parte di don Giovambattista Gatto, tesoriere della città di Licata, a don Giovambattista Grugno, deputato della processione della “Casazza” è del 1645. Dal 1866 questa processione non venne più celebrata. Fu ripresa nel 1904 con l’esposizione del Cristo alla colonna nella cappella del Pileri o della Madunnuzza della chiesa Madre. Ma da quell’anno non ebbe più luogo.

Il simulacro del Cristo alla colonna del XVIII sec., che ne sostituisce uno più antico andato distrutto, nel 1926, con il consenso della Confraternita della Carità e per le condizioni precarie dell’allora sacrestia dell’omonima chiesa, venne trasferito dal sac. Giuseppe Dominici nella rettoria della chiesa del Purgatorio, ovvero sia di S. Giacomo Apostolo dell’Ospedale.

Nel 1988, ad opera dei Cavalieri di San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, il Cristo alla colonna venne esposto sul sagrato della chiesa Madre. Successivamente fu restituito alla Confraternita della Carità che dal 2005 ripristinò l’antica processione con la variante della esposizione del Cristo alla Colonna nel chiostro del convento di S. Francesco, anziché nella cappella dell’Immacolata come per antica tradizione avveniva.

In epoca più recente questa cerimonia venne sostituita con quella della Confraternita del SS. Sacramento della chiesa Madre che si teneva all’interno della maggiore chiesa e si concludeva, presenti i giurati della città, nella cappella del Crocefisso, dove stava allestito il Sacro Sepolcro.

Oggi la sera del Giovedì santo si visitano i “Sepolcri” di almeno quattro chiese, costituiti da altari splendidamente addobbati con fiori freschi, piante verdi e “curuneddi”. Quest’ultimi si ottengono con semi di grano, lenticchie, orzo, ceci, posti su uno strato di cotone imbevuto d’acqua sistemato in un piatto che viene tenuto per tutto il tempo in un luogo buio per permettere ai semi, una volta germogliati, di mantenere un colore giallo pallido. Queste piantine, prima di essere portate in chiesa, vengono addobbate con dei nastri di raso ed abbellite con fiori variopinti. Dopo che in chiesa Madre si sono conclusi i sacri riti, molto attesa è la processione penitenziale della Confraternita di S. Gerolamo verso il Calvario.

La festa del venerdì santo è tra quelle più attese dai Licatesi. Richiama ancora il rientro in patria per l'occasione di molti emigrati anche in terra lontana. La festa in pratica inizia la notte tra il giovedì e il venerdì con la traslazione del simulacro del Cristo morto dalla chiesa di San Gerolamo nella camera ardente allestita presso il Calvario al piano terra del sontuoso palazzo La Lumia. E' una processione lenta e mesta, seguita da un mare di folla. Il venerdì, giorno di digiuno, si apre con la visita al Cristo morto. Alle ore 13.00 ha inizio la lenta e ritmica processione del Cristo crocifero, il cui volto e le mani si devono allo scultore Ignazio Spina, dalla chiesa di San Gerolamo verso il Calvario, attraverso le vie principali di Licata. E' sempre presente una grandissima folla di fedeli di tutte le età. Alle 14.00, in piazza del Municipio, uno dei momenti più attesi della festa: la Giunta, annunciata da uno squillo di tromba, tra la Madonna Addolorata di corsa portata dalla Chiesa di Sant'Angelo e il Figlio crocifero. Da questo momenti i due gruppi scultorei procedono, uno portato dai confrati della Misericordia in smoking per la circostanza, l'altro dalle maestranze del mercato agricolo in impeccabile abito nero e guanti bianchi. Caratteristico è il procedere (a 'nnacata) dei portatori: un passetto avanti, uno di fianco a destra, uno di fianco a sinistra. Dopo un'ora, alle 15.00 in punto, la crocifissione.

GiuntaGesu' CrociferoVerso il calvario

Il Cristo crocifero entra nel palazzo La Lumia, da dove il Cristo flagellato che viene portato al Calvario seguito dalla Madonna. A crocifiggerlo sono due preti ed un infermiere. Per il pomeriggio e un andare e venire di processioni e di gruppi di penitenti ( i 'ncurunati) che portano corone di fiori a Gesù crocifisso. La sera, alle 20.00, giunge sotto il Calvario l'artistica e preziosa urna di legno scolpito e laccato di oro zecchino, illuminata da tanti artistici fanali. I portatori sono ancora i confrati della Misericordia che indossano il saio bianco con cappuccio e cordone rosso annodato ai fianchi. E' la deposizione del Cristo, la sua collocazione nell'urna e quindi la lunga processione per i corsi della città sino al rientro nella chiesetta di San Gerolamo dopo ben quattro lunghe e stancanti ore.

Gesù in lettigaMadonnaDeposizione GesùGesù crocifero

La tradizione e la religiosità impongono ancora oggi, dopo il digiuno della mattina, dei pasti frugali e penitenziali. A mezzogiorno in punta tutti a tavola per non far tardi alla processione. Viene cucinata e servita la "pasta alla milanisi", un piatto unico di spaghetti conditi con sarde fresche e finocchietti selvatici che richiamano la fertilità della natura, del mare e della terra. Il pasto della sera è costituito dai "muffuletti", delle morbide pagnottine profumate cosparse di spezie dolci e di semi di sesamo, ossia di "cimini duci" e di "giurgiulena" che vengono serviti conditi di acciughe o alici salate. Una vera ghiottoneria. E' anche tradizione recarsi nelle masserie, dove i pecorai offrono ricotta fresca che ben si accompagna con le favette verdi.

Cristo risortoLa Pasqua di Resurrezione è festa grande non solo in chiesa, ma anche a tavola. Festa di pace e di abbondanza e giorno di doni per i bambini che ricevano il tradizionale "panereddu cu l'ova dura", una specie di panierino che contiene due uova sode fatto con pane biscotto cosparso di decori colorati. A tavola come dolce spunta l'agnello pasquale fatto di pasta di mandorla e farcito di pasta di pistacchio. Una vera bontà. La sera viene portato in processione dalla chiesa del SS. Salvatore la statua di Gesù risorto, conosciuto come "Gesù cu munnu in manu".

Il 5 maggio è la maggiore festa di primavera, festa di colori e di spensieratezza. E' la ricorrenza del martirio di Sant'Angelo Carmelitano, antico patrono di Licata. E' festa antica, decretata l'8 maggio 1457 dal capitolo provinciale dei PP. Carmelitani. La festa è aperta il 25 aprile dalla Fiera che una volta si concludeva il quattro maggio, mentre oggi procede anche oltre il sei maggio. La città è invasa da una miriade di bancarelle che vendono di tutto e da folle di visitatori dei paesi vicini che vengono ad acquistare.

La festa vera e propria si apre la sera del 4 maggio con i Vespri solenni in chiesa di Sant'Angelo con la presenza dell'intera giunta municipale. La mattina del cinque si apre con spari di mortaretti e con sfilate di bande festose. Un momento particolare è la sfilata delle mule parate che vanno a rendere omaggio, recando doni, a Sant'Angelo sul sagrato del santuario. Le mule per la circostanza sono adornate di penne di pavone, code di volpi, fiori e ricche bardature e sonagliere. Sono ricoperte di tappeti o coperte di seta o di velluto. Sotto le coperte, sulla groppa, portano delle bisacce piene di paglia che le rendono smisurate nelle proporzioni, sì da farle apparire simili ad animali feroci. La sera, alle ore 20.00, dopo la S. Messa, inizia la processione, seguita da una folla straripante, della argentea urna reliquiaria di Sant'Angelo portata su un artistico fercolo. La bara segue un percorso ben studiato.

Processione Sant'AngeloProcessione Sant'Angelo

Dal nuovo cassaro, passa al vecchio cassaro che attraversa l'antico quartiere della Marina, da qui giunge al mare e dalla ex chiesa di San Sebastiano ha inizio la prima spettacolare e travolgente corsa dell'urna, portata a spalla da più file di giovani marinai in divisa bianca e a piedi scalzi che, avvinghiati l'un con l'altro senza guardare il percorso, corrono velocemente per alcune centinaia di metri guidati solo dai timonieri, preceduti da centinaia di ragazzini scalzi festanti ed in bianca divisa che si fanno spazio tra la folla assiepata sui marciapiedi con torce accese, mentre la banda intona marce fastose.

E' un momento davvero spettacolare e colmo di tensione. Fa rabbrividire il vedere questo fercolo correre e quasi traballare. La processione procede poi lungo tutta la città, anche nei quartieri periferici. Nel percorso vengono fatte altre corse, meno spettacolari della prima. Avvincente, invece, è l'ultima, quella che porta Sant'Angelo sino sotto l'altare maggiore della chiesa patronale, seguito in corsa anche dai giganteschi (alt. m. 4,5) e pesanti quattro ceri (i 'ntorci) di legno scolpito e laccato portati a spalla da nerboruti pastori e da robusti agricoltori ed ortofrutticoli. La festa procede il giorno dopo con il pallio a mare e con l'albero della cuccagna (u paliu a 'ntinna), momento molto atteso soprattutto dai bambini, e con regate, corsa con i sacchi, tiro della fune, corsa dei muli. La sera, invece, è il momento di concerti di musica leggera in piazza. Al termine lo spettacolo inebriante dei fuochi pirotecnici.


Le torri
A guardia delle coste dalla pirateria turca vennero edificate sul litorale di Licata numerose torri di avvistamento, dotate di guarnigione ed armate di pezzi d'artiglieria, che avevano il compito di segnalare di giorno col fumo e di notte con la fiamma l'avvistamento di velieri corsari, i cui equipaggi erano dediti a razziare tutto ciò che trovavano sulla loro strada, animali, viveri e persone per il mercato degli schiavi, assai fiorente nelle città del nord Africa. Le uniche torri superstiti sono quelle di Gaffe e di san Nicola.

La torre di Gaffe, di forma cilindrica, si erge, con struttura di muratura e pietrame, su un basamento scarpato sul ciglio del costone riccioso che domina la sottostante spiaggia della Ciotta. All'interno due ambienti voltati sono collegati da una scala ad andamento curvilineo, posta all'interno dello spessore murario. Un'altra scala a chiocciola conduce alla terrazza. Detta anche torre "del Grugno", nome del proprietario del feudo di Gaffe, data la sua particolare struttura potrebbe risalire al periodo aragonese. Si raggiunge dalla SS 115, bivio Torre di Gaffe. La sua conservazione è mediocre.

La torre di San Nicola, alta circa 10 metri e di forma ottagonale, è posta in contrada Mollaga su un rilievo arretrato rispetto alla linea di costa, ma dal quale si esercita un controllo visivo su un ampio settore, dalla spiaggia Mollarella allo scoglio di S. Nicola. Ha spigoli segnati da cantonali in pietra calcarea, il basamento pieno è lievemente scarpato e si conclude con una cornice sagomata. Per la sua particolare struttura rappresenta una eccezione nelle tipologie ricorrenti di torre costiera. L'interno è costituito da un unico vano a pianta centrale e volta con apertura centrale per l'accesso alla terrazza. La sua costruzione risale alla prima metà del '500. Lo stato di conservazione è cattivo. Vi si arriva a piedi da una diramazione in contrada Poliscia della litoranea Licata-Torre di Gaffe.


Museo archeologico
S. Francesco (sec. XVIII), di P. Angelo Maria da Licata La nuova sede si trova nel ristrutturato chiostro della Badia, con ingresso da via Dante, prossima a Piazza Sant'Angelo. E' stato inaugurato il 30 marzo 1996. Fu fondato nel 1972 inizialmente come antiquarium annesso alla biblioteca comunale, finchè non ebbe una sede autonoma in piazza Linares nel 1973. Custodisce le collezioni archeologiche rinvenute nel territorio di Licata che si inseriscono in un ampio arco storico che va dal paleolitico alla ellenizzazione sino all'età ellenistica-romana.

La Badia, così è detta localmente, è l'antico partenio delle monache dell'ordine cistercense. Sino alla 2a metà dell'800 figura sotto il titolo di S. Maria del Soccorso. I rinnovati locali risalgono al 1636 e si sviluppano attorno ad un ampio e luminoso chiostro quadrangolare porticato. Nei primi del 700 viene ampliato con l'aggiunta della nuova ala prospiciente sulla piazza S.Angelo e il largo S. Salvatore. Il museo occupa solo una parte del piano terra del monastero e il chiostro.

Museo Comunale Museo ComunaleLa Sibilla Sambetta (fine sec. XVIII), di P. Angelo Maria da LicataLa Sibilla Cumana (fine sec. XVIII), di P. Angelo Maria da Licata
S. Giuseppe col Bambino Gesù (sec. XIX), di P. Serafino da LicataS. Giuseppe col Bambino Gesù (sec. XIX), di P. Serafino da LicataLa Madonna del Latte (sec. XVIII), di Fra Fedele da S. BiagioLa Madonna col Bambino (1470)


Salvatore Gregorietti
Villa Sapio Rumbolo, progetto F. Re Grillo Villa Sapio Rumbolo, disegno dell’arch. Carisotto
Ad impreziosire le architetture ideate da Filippo re Grillo, fu chiamato a Licata a più riprese Salvatore Gregorietti (Palermo 1870-1952), allievo del pittore adornista Enrico Cavallaio, che lavorò come maestro decoratore in palazzi signorili di Palermo ed in molte città della Sicilia, della Calabria e della Puglia. Suoi sono, ad esempio, gli affreschi del velario della Banca d'Italia di Palermo, del teatro Biondo, di alcune sale del palazzo reale e della palazzina cinese. Al suo pennello appartennero anche le pitture per i saloni dei transatlantici Giulio Cesare, Duilio ed Esperia. Senza contare le numerose vetrate dipinte da lui realizzate.

Villa Sapio Rumbolo A Licata al suo estro pittorico si deve quanto è documentato e rimane nelle case Verderame, nella Villa Sapio Rumbolo, ancora ricca di mobili della Ducrot, disegnati da Ernesto Basile e di rare porcellane della Florio, e probabilmente nel palazzo Urso. In generale lo stato di salute degli affreschi è discreto. Il documento sicuramente più prestigioso lo troviamo nella volta Villa Verderame Bosa, progetto F. ReGrillodel salone delle feste del palazzo di Matteo Vecchio Verderame, prossimo alla zona portuale, non solo per la grandiosità del soggetto allegorico illustrato, ma per la freschezza e la naturalezza dei colori. Veramente unica è la decorazione eseguita nel 1903 nel palazzo Villa Verderame Bosa, progetto F. Re Grillodell'on. Arturo Verderame, già Talamo, oggi Cuttaia-Vitello, di corso Roma, dove l'artista ha profuso decorazioni sotto forma di affreschi, arazzi su tela e raso, balconate e porte scolpite, tetti cassettonati o affrescati, carte da parati con motivi floreali, vetrate dipinte. Nella camera da pranzo il tetto, cassettonato, è finemente Villa Verderame Bosa, progetto F. Re Grillointagliato e dipinto. Il ciclo di arazzi rVilla Verderame Bosa, progetto F. Re Grilloappresentano le stagioni, dipinti ad olio su tela con colori vegetali. Figure femminili dalle linee sinuose circondate da innumerevole varietà di fiori elaborati con estrema ricchezza di soluzioni cromatiche. In un altro soffitto, puttini giocano tra fiori e farfalle, usignoli e rondini, quasi a creare l'illusione di un cielo aperto; in un angolo questi si trasformano in veri e propri bambini seduti su un ramo. La volta del bagno è decorata con motivi floreali in cui appaiono gru e pacifici cigni. Nella stanza Teatro Re, plastico realizzato da F. Re Grilloda giuoco la volta è decorata da quattro figure in festa con costumi medioevali. Nel salone delle feste alcuni arazzi con sequenze Teatro Re, plastico realizzato da F. Re Grillonarrative, assai diverse da quelle floreali, rievocano leggende di donne e di cavalieri, castelli e vassalli innamorati. Nel fumoir le decorazioni pittoriche sono stile giapponese: geishe in costume, piatti, lampade e ventagli schiusi. In contrasto con tale forza cromatica, una sottostante sequenza narrativa di scene di vita quotidiana dalla tinte pacate. Al fumoir si accede da una splendida porta in legno e vetro dipinto con slanciati steli di iris.

Non sono da meno i decori eseguiti nel 1903 da Gregorietti nelle stanze e nei saloni della villa Sapio Rumbolo. Qui l'artista più che dedicarsi a riempire le volte, si dedica ad affrescare la parte sommatale delle pareti per creare uno stacco tra queste e le coperture con un fascio lineare e continuo di immagini e di colori strettamente legati ai canoni del liberty fiorito. Ovunque abbiamo il trionfo della natura. Nella stanza da pranzo steli, foglie filiformi e rose rosa e giallo pallido. Nella volta del salotto al centro puttini alati giocano tra ghirlande di rose, agli angoli del soffitto deliziose fanciulle-fiore (rose, garofani, gigli e iris) che rappresentano le quattro stagioni. Nella stanza del biliardo la volta è decorata da quattro figure in costumi medioevali iterate. Nelle camere da letto ciclamini, orchidee e viole costituiscono un vero e proprio ricamo filiforme. In una sala di disimpegno iris di tutti i colori risaltano da uno sfondo chiaro. A Gregorietti appartengono anche i grandi e preziosi arazzi dove campeggiano le tipiche figure femminili addobbate di fiori variopinti.


Scavi di via S.Maria e Monte S.Angelo


Urna di Sant'Angelo
Urna di Sant'Angelo. Nuova statuina d'argento massiccio raffigurante il Santo benedicente opera del licatese Salvatore Lauria, donata da Antonino La PernaIl reliquario di Sant'Angelo in un disegno del 1640Il reliquiario d'argento del Santo Martire, opera del maestro argentiere Lucio de Anizi (1625)Urna di Sant'Angelo. Statuina  di argento massiccio raffigurante il Santo benedicente, opera di argentiere palermitano del 1656. Fu trafugata, e mai più ritrovata, il 30 gennaio 1980
Autore dell'urna d'argento che custodisce le reliquie di Sant'Angelo è Lucio de Anizi, maestro argentiere di Ragusa che ne ricevette l'incarico dai giurati di Licata il 6 dicembre 1621. Questa, per decisione del 1615, sostituì una precedente urna, meno sfarzosa. Fu completata nella primavera del 1623, quando le reliquie vennero traslate dalla vecchia cassa in quella nuova. L'urna è lunga cm. 114, larga cm. 50, alta cm. 70 e raggiunge i 130 cm. sino al coperchio che sfuma in tronco di piramide con gli spigoli arrotondati. Lucio de Anizi nei sei Il reliquario d'argento del Santo Marire, opera del maestro argentiere Lucio de Anizi (1625)pannelli che ricoprono i lati del reliquiario illustrò a sbalzo le scene più importanti della vita di Sant'Angelo, parite da esili colonnine: nel lato che in processione va avanti, le navi dei pirati che cercano di catturare quella su cui viaggia Sant'Angelo, in viaggio dall'Egitto verso l'Italia. Nel lato opposto Sant'Angelo che esorcizza, da la parola a un muto e monda un lebbroso. Nelle due facciate più lunghe: Sant'Angelo in preghiera nel deserto, Sant'Angelo che predica in San Giovanni in Laterano, Sant'Angelo che viene assalito e colpito a morte mentre predica della basilica dei SS. Filippo e Giacomo di Licata e Sant'Angelo sul letto di morte, assistito da un vescovo e da molti carmelitani. I disegni di queste storie vennero predisposti dal pittore licatese Giovanni Portaluni. Una statuina d'argento massiccio con Sant'Angelo benedicente, purtroppo rubata e sostituita da una più moderna, stava al culmine del coperchio. L'autore ha trasferito nella esecuzione di questa bellissima cassa le masse sporgenti e rientranti tipiche dell'architettura barocca. Il disegno è accademico e, nonostante la presenza di più collaboratori, l'opera raggiunge una perfetta unità stilistica e si informa chiaramente al manierismo classicheggiante che perdura in Sicilia, soprattutto a Messina, sino alla prima metà del 600.
Urna di Sant'Angelo. Particolare. Le navi dei barbareschi cercano di catturare il veliero che trasportava Sant'Angelo dall'Egitto in Italia Urna di Sant'Angelo. Particolare. Il Santo Carmelitano esoriczza, da la parola a un muto, monda  un lebbrosoUrna di Sant'Angelo. Particolare. Sant'Angelo prega nel deserto
Urna di Sant'Angelo. Particolare. Sant'Angelo predica in San Giovanni in LateranoUrna di Sant'Angelo. Particolare. Sant'Angelo prega nel desertoUrna di Sant'Angelo. Particolare. Sant'Angelo sul letto di morte assistito da un vescovo e da miolti carmelitani

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